Quando la polizia lo ha fermato era a bordo della sua auto, in Germania, non in Austria, dove era stato visto domenica scorsa, l’ultima volta prima di sparire nel nulla. Era sempre al volante di quella Fiat Grande Punto nera su cui si erano concentrate le attenzioni della polizia di tutta Europa. Alla fine Filippo Turetta è stato fermato, dopo una settimana di latitanza. Su di lui pende un’accusa ignobile: omicidio aggravato. Ovvero: ha ucciso a coltellate la sua ex fidanzata e ha cercato di nascondere il cadavere, portandolo a braccia giù per la scarpata, in un canalone nei pressi del lago di Barcis, in Friuli-Venezia Giulia. Poi è fuggito di nuovo, sempre con la sua auto. Prima il procuratore di Venezia, poi i suoi genitori gli hanno chiesto di fermarsi, di costituirsi, di assumersi le responsabilità di ciò che ha fatto. Stamattina la notizia dell’arresto, a poco meno di 24 ore dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin: il fermo è avvenuto all’alba, sull’autostrada A9 all’altezza della cittadina di Bud Durremberg, a 150 chilometri da Lipsia. Era al lato della strada, con le luci spente, mentre la legge tedesca prevede che le luci siano sempre accese: era finita la benzina, non aveva soldi per fare nuovamente rifornimento. I poliziotti tedeschi, a cui erano arrivate una serie di segnalazioni, si sono fermati per un controllo e hanno riconosciuto il giovane e la targa, che era stata segnalata dall’Interpol. Turetta non ha opposto resistenza. Anzi, agli agenti è apparso stanco e rassegnato, come se fosse desideroso di consegnarsi, almeno stando al racconto delle autorità tedesche a quelle italiane. L’auto di Turetta era ferma sulla corsia d’emergenza perchè, secondo gli agenti, era finita la benzina e Filippo non aveva soldi per fare nuovamente rifornimento. Si trova ora in un ufficio della polizia tedesca e sarà trasferito nel carcere di Lipsia.
GIULIA UCCISA PRIMA DI ESSERE SCARICATA NEL CANALONE – A raccontare alle agenzie di stampa la svolta è stato l’avvocato del giovane, Emanuele Compagno, che ne ha avuto conferma poco fa e ha informato i genitori. Adesso sarà un giudice tedesco a dover valutare il Mae, ossia il mandato di arresto europeo, e a decidere sulla consegna. Nel frattempo emergono nuovi dettagli sull’omicidio: in base a quanto ha riferito il medico legale Antonello Cirnelli, che ha svolto l’ispezione esterna della salma per conto della Procura di Pordenone, gli investigatori sono convinti che Giulia fosse già morta quando il suo corpo è stato portato nel luogo dove è stato abbandonato. Le ferite da arma da taglio alla testa e al collo erano infatti svariate (oltre 20, l’autopsia dirà quali sono state quelle fatali) e molto profonde, segno di coltellate inferte con grande violenza: appare dunque impossibile che la ragazza fosse ancora viva molte ore dopo, quando l’ex fidanzato ha scaricato il cadavere a centinaia di chilometri dal luogo dell’aggressione.
IL CADAVERE PORTATO A BRACCIA – È stato smentito, inoltre, il fatto che Turetta avesse lanciato o lasciato cadere il corpo di Giulia dalla strada nella zona di montagna di Piancavallo. Secondo la nuova versione fornita dagli inquirenti, il ragazzo ha portato in braccio giù lungo il dirupo il corpo, prima di deporlo sotto una grande roccia. Infine, lo ha coperto con alcuni sacchi neri che sono stati trovati nei pressi. Questa è l’ultima ricostruzione di quanto avvenuto la notte di una settimana fa. Il giovane è giunto sul posto con in auto il corpo di Giulia. È uscito dall’auto, ha preso il cadavere e di notte, senza una luce, forse utilizzando soltanto il telefono cellulare, ha percorso con in braccio Giulia il sentiero che scende giù per la scarpata. Non è chiaro se l’intento fosse quello simbolico di tutelare il corpo oppure di occultarlo alla vista dei ricercatori e chiunque altro. Si è appreso soltanto stamani, d’altronde, che sul corpo il medico legale non ha trovato segni di caduta, di trascinamento o di rotolamento.
QUANDO È STATA ABBANDONATA GIULIA? – Ma quando è stato abbandonato il corpo di Giulia Cecchettin? Esattamente una settimana fa, poco dopo le 3 di domenica mattina 12 novembre: è quanto hanno accertato le indagini dei carabinieri di Pordenone, che hanno ricostruito ogni singolo movimento dell’auto da quando è entrata in Friuli Venezia Giulia dalla provincia di Treviso. La prima registrazione delle telecamere risale alle 2.02 a Sacile: la Fiat Grande Punto nera viene immortalata dalle telecamere comunali. Sono trascorse circa due ore e mezza dall’aggressione certificata dalla video-sorveglianza dello stabilimento Dior a Fossò. Il tragitto dell’utilitaria è poco lineare: gira per la città per qualche minuto e poi imbocca la strada per Caneva, dove transita alle 2.18. Anche in questo caso non sembra esserci una direzione chiara: sale verso il castello, ma poi ritorna in centro, ripassa per la piazza e svolta per la ex provinciale 29, direzione Polcenigo, i cui lettori targhe la inquadrano alle 2.27. Per quattro giorni gli investigatori dispongono soltanto di questi dati: il passaggio successivo, circa due ore dopo, è di nuovo in territorio veneto. La Punto passa per le gallerie della famigerata diga del Vajont verso le 5, in comune di Longarone (Belluno), dopo aver oltrepassato Erto e Casso.
IL BUCO DI DUE ORE – Quel “buco” di due ore insospettisce gli inquirenti: l’elicottero dei Vigili del fuoco sorvola tutta la Valcellina, senza esito. Il territorio è vastissimo, difficile circoscrivere le ricerche. La svolta arriva nella tarda mattinata di giovedì: le telecamere del Piancavallo riprendono a funzionare dopo una sospensione temporanea per manutenzione. Il software aveva tuttavia continuato a immagazzinare i dati e alla ripartenza genera l’alert relativo alla macchina ricercata in Italia e in Austria: l’utilitaria è arrivata ai 1.300 metri di quota della stazione turistica alle 3. È l’elemento che mancava: le riprese non inquadrano più la vettura che torna ad Aviano e, dunque, l’unica alternativa è l’impervia stradina della Val Caltea. Qui, si stima una decina di minuti dopo, Filippo getta il corpo di Giulia nella scarpata. Un’operazione che ha potuto portare a termine senza il rischio di essere scoperto: a tre giorni dalla chiusura stagionale dell’arteria, non passa già più nessuno.
Il giovane probabilmente si ferma in zona per un pò, per questo gli investigatori proseguono anche oggi nella ricerca di reperti. Con i droni battono di nuovo la strada per capire se si sia disfatto di altri oggetti, tra cui l’arma del delitto, il coltello con cui ha massacrato l’ex fidanzata. All’appello mancano anche telefoni.
LA FUGA – Su Turetta era stata emessa un’ordinanza di arresto, quindi diffuso un mandato di arresto europeo per omicidio volontario aggravato, dopo che le forze dell’ordine avevano visionato le immagini delle telecamere della zona industriale di Fossò. Immagini inequivocabili: la sera di sabato 11 novembre Filippo e Giulia litigano animatamente nell’auto, muovono le mani, poi Filippo sembra colpirla al viso. Lei scende dall’auto, scappa, lui la insegue, la prende per il cappuccio del giaccone e la colpisce violentemente, forse con un coltello. Giulia cade, sanguinante ed esanime. Filippo la prende per i piedi, apre il portabagagli e la getta dentro. Con quel corpo il 22enne viaggia per oltre 100 chilometri fino a quel lago artificiale nel cuore della Valcellina dove ieri è stata trovata dopo giorni di ricerche e speranze. La fuga di Filippo prosegue in solitaria. Con la sua Gran Punto punta verso il Friuli, poi raggiunge San Candido domenica mattina 12 novembre ed entra in Austria dove per ben due volte passa sotto un targasystem tra Lienz e la Carinzia. Le sue tracce si perdono fino a oggi quando viene bloccato in Germania a bordo della sua auto.
VENEZIA TITOLARE DELL’INCHIESTA – Ad ogni modo, l’inchiesta sull’omicidio volontario di Giulia Cecchettin resta in capo alla Procura della Repubblica di Venezia. Ad attribuire la titolarità del fascicolo è il fatto che il primo reato contestato, il sequestro di persona, è avvenuto in quel territorio di competenza. Sarà, quindi, la Procura veneta a disporre tutti i prossimi atti ufficiali, dal momento che i reati contestati a Filippo Turetta sono in continuità con il primo. La Procura di Pordenone avrebbe potuto procedere soltanto per l’occultamento di cadavere – in considerazione dei primi accertamenti svolti nel burrone, grazie ai quali prevarrebbe l’ipotesi che Giulia fosse già morta quando è stata abbandonata nel bosco – che sarà invece aggiunto alla lunga lista di contestazioni a carico del giovane dai colleghi veneziani.