Se non è una guerra di religione poco ci manca. Tutta colpa del friulano, anzi del messale tradotto in lingua friulana che la Conferenza episcopale italiana – a conclusione di un iter durato quasi vent’anni – ha nuovamente bocciato. Il voto si è tenuto ad Assisi dove era riunita la 78esima assemblea generale straordinaria, che ha dato il suo parere sull’approvazione del Messale in marilenghe. “La votazione Cei, pur avendo superato la maggioranza assoluta dei membri della Conferenza stessa, – recita una nota dell’Arcidiocesi di Udine – non ha raggiunto la maggioranza qualificata di due terzi dei membri, necessaria per l’approvazione”. Sarebbero serviti 154 voti su 231 totali, mentre i votanti sono stati 173, di cui 114 a favore, 50 contrari e 9 astenuti. Però il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi (nella foto), ha assicurato che resterà aperto il dialogo con il Dicastero per il Culto divino e della Disciplina dei Sacramenti e con i tre Vescovi di Udine, Gorizia e Concordia-Pordenone, “per valutare un’ulteriore passaggio per arrivare all’approvazione del Messale in lingua friulana”.
Non sono bastate queste rassicurazioni a far rientrare i malumori in terra friulana. L’associazione “Glesie Furlane” ha diffuso un commento: “La posizione della Cei non ci sorprende affatto, ma rimane l’amarezza per il duro lavoro portato avanti in questi oltre 50 anni per il riconoscimento del Messale in lingua Friulana. Per trent’anni ci hanno detto che la lingua friulana non era una lingua riconosciuta dallo Stato: come se la liturgia religiosa (della Chiesa) dovesse dipendere dalla legislatura laica di uno stato. Quando nel 1999 è stata approvata la legge n. 482 che tutela le minoranze linguistiche storiche, ci hanno fatto attendere altri 17 anni perché la Tertia Editio Typica doveva essere tradotta prima in italiano: come se una lingua minoritaria come il friulano non potesse avere la traduzione prima della lingua italiana”.
Una decisione che già aveva complicato le cose. Una volta completata la traduzione in italiano, infatti, a inizio 2023 Glesie Furlane ha dovuto inserire “la traduzione di tutte quelle parti aggiunte alla versione italiana che non ci sono in latino: come se il nostro Messâl par furlan non dovesse dipendere dalla versione ufficiale latina, ma dalla traduzione italiana… Ora ancora uno stop: è un nuovo segnale, se ce ne fosse il bisogno, del clima altamente negativo verso le lingue minoritarie e la mancanza di attenzione verso i loro parlanti”. Il comunicato parla di una “Chiesa di palazzo” contrapposta alla società civile, “più attenta della gerarchia religiosa: ringraziamo i molti rappresentanti delle istituzioni amministrative e culturali regionali, che si sono sollevate in un coro unanime stigmatizzando il rifiuto della Cei”.
Una messa in lenghe furlane, quale polemico “ringraziamento” alle gerarchie episcopali, sarà celebrata il 26 novembre alle 15 nella chiesetta di san Giacomo, sulle rive del Tagliamento, a Villanova di San Daniele. “Pregheremo in lingua friulana, col Messâl par furlan sull’altare, come facciamo da oltre 50 anni e lo faremo con tutti coloro che vorranno pregare insieme a noi”, spiega Glesie Furlane.
Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. “Un’occasione persa – dice il presidente del consiglio regionale, Mauro Bordin – Il friulano è la nostra lingua e il messale in friulano sarebbe un elemento di forza”. Il consigliere Roberto Novelli di Forza Italia: “Accanto al processo di secolarizzazione in atto, a volte sembra che le alte sfere della Chiesa escogitino nuovi modi per allontanare i fedeli, anziché riavvicinarli. Perché la bocciatura? Esistono lingue più gradite di altre? Il friulano non è considerato una lingua degna? Sembra un atto discriminatorio o, nella migliore delle ipotesi, un errore di valutazione”. Il capogruppo del Patto per l’autonomia-Civica Fvg, Massimo Moretuzzo, e Diego Navarria, già presidente dell’Assemblea della comunità linguistica friulana, aggiungono: “I vescovi italiani continuano a negare il diritto naturale di poter pregare nella propria lingua madre. Denunciamo la netta contrarietà a una decisione che è anche negazione di un’identità culturale, quella friulana, le cui radici affondano nel Patriarcato di Aquileia”.