Undici anni di carcere e interdizione perpetua all’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta. Ma anche oltre 200 condanne su 338 imputati. In tempi record per essere un maxi-processo (4 anni dagli arresti e 3 di udienze quasi tutti i giorni), “Rinascita-Scott” registra già la sentenza con il rito ordinario. Dopo più di un mese di camera di consiglio, infatti, i giudici di primo grado Brigida Cavasino, Claudia Caputo e Germana Radice hanno letto stamattina il dispositivo della sentenza. Il Tribunale di Vibo Valentia, di fatto, ha sposato l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro targata ancora Nicola Gratteri che, proprio nelle settimane scorse, si è insediato alla procura di Napoli. Lui, ovviamente, non c’era ma nella nuova aula bunker a Lamezia Terme, costruita appositamente per celebrare questo processo, c’erano il procuratore vicario Vincenzo Capomolla e i sostituti della Dda Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci.

Dai mafiosi ai colletti bianchi e non solo – Si è concluso così “Rinascita-Scott”, nato da un’inchiesta che qualcuno ha definito la “più grande operazione dopo quella che portò al maxi-processo di Palermo a Cosa Nostra”.Di certo si tratta di processo che rischia di consegnare alla storia quello che, in Calabria, è il vero “partito di maggioranza”: il partito degli affari attorno al cui tavolo siedono tutti, non solo la ‘ndrangheta. Alla sbarra c’erano tutti: i boss della cosca Mancuso di Limbadi e quelli delle altre famiglie mafiose vibonesi ma anche imprenditori, ex parlamentari, ex consiglieri regionali, sindaci, carabinieri, uomini dei servizi segreti e professionisti. Pezzi infedeli dello Stato, “colletti bianchi” ai quali la Dda di Catanzaro è riuscita a dare un nome e un cognome. Su tutti l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, avvocato e massone accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta. Al termine dell’istruttoria dibattimentale, i giudici gli hanno inflitto 11 anni di carcere. Detenzione che, se dovesse essere confermata in Appello e Cassazione, l’ex parlamentare e avvocato calabrese in parte dovrà scontare assieme agli altri imputati condannati per i quali, complessivamente, la Procura di Catanzaro aveva auspicato 4744 anni e 10 mesi per stroncare quel coacervo di interessi che è il cuore del rapporto tra ‘ndrangheta, politica e massoneria.

Le condanne – Richieste che, nonostante diverse riduzioni decise dai giudici, sono state tutto sommato accolte dal Tribunale che, per quanto riguarda i politici, ha condannato anche l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino (un anno e mezzo di carcere) che i pm antimafia considerano a tutti gli effetti appartenente alla cosca di Piscopio. Per lui la richiesta era molto più alta (20 anni di reclusione) per cui si dovrà attendere le motivazioni della sentenza per capire quali capi di imputazione sono caduti con la conseguente riduzione di pena decisa dai giudici di primo grado che hanno assolto anche l’ex sindaco di Pizzo Calabro, un tempo renziano, Gianluca Callipo che era accusato sempre di concorso esterno con la ‘ndrangheta,

Sono stati “seppelliti” in carcere, invece, i boss Saverio Razionale (30 anni di carcere) e l’ex latitante Pasquale Bonavota (28 anni), arrestato nei mesi scorsi a Genova. Sono stati condannati anche boss Domenico e Nicola Bonavota (rispettivamente 30 e 26 anni di reclusione), Domenico Cugliari (22 anni e 6 mesi), Antonio Larosa (24 anni e 6 mesi), Paolino Lo Bianco (30 anni), Antonio Macrì (20 anni e 10 mesi), Salvatore Morelli (28 anni e 4 mesi), Valerio Navarra (23 anni), Agostino Papaianni (20 anni), Rosario Pugliese (28 anni) e Antonio Vacatello (30 anni).

Ritornando ai colletti bianchi, oltre a Giamborino e Pittelli, sono stati giudicati colpevoli l’avvocato Francesco Stilo (14 anni di carcere), l’ex capitano dei carabinieri Giorgio Naselli (2 anni e 6 mesi), l’ex comandante della polizia municipale di Vibo Valentia Filippo Nesci (4 anni), gli imprenditori Mario e Umberto Artusa (rispettivamente 21 anni e 18 anni di carcere), Mario Lo Riggio (17 anni), Gianfranco Ferrante (20 anni e 2 mesi) e l’ex agente della Dia passato ai servizi segreti Michele Marinaro (10 anni e 6 mesi). Secondo i pm, quest’ultimo sarebbe stato la “barba finta” responsabile delle fughe di notizie registrate durante le indagini quando la Dda ha notato la frenesia delle cosche vibonesi che volevano rintracciare il contenuto dei primi verbali del pentito Andrea Mantella (anche quest’ultimo condannato a 8 anni di carcere). Secondo gli inquirenti, infatti, sarebbe stato Marinaro, nel maggio 2019, ad informare Pittelli che la Procura di Catanzaro lo avrebbe arrestato da lì a poco.

Il concorso esterno per Pittelli – La previsione era corretta: accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta, l’ex parlamentare è la figura che, a causa delle polemiche sorte in seguito al suo arresto, ha impersonificato il processo “Rinascita-Scott” che, comunque, è molto più ampio delle condotte contestate dai pm al solo Pittelli. In attesa di conoscere le motivazioni per le quali è stato condannato, il dato certo al momento è che la Dda di Catanzaro ha accusato l’ex senatore di Forza Italia di avere avuto rapporti con il mammasantissima Luigi Mancuso, detto il “Supremo”, per il quale c’è un processo a parte dopo che la sua posizione è stata stralciata assieme a quella del boss Peppone Accorinti.

Rapporti, quelli tra Pittelli e lo “zio” Luigi Mancuso, che secondo la Dda andavano oltre i contatti leciti tra avvocato e cliente. Piuttosto Pittelli è considerato “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”. In altre parole, – si legge negli atti di Rinascita – Pittelli era “l’affarista massone dei boss della ‘ndrangheta calabrese” che con lui è riuscita a relazionarsi “con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università e con le istituzioni tutte”. I boss lo nominavano loro avvocato “in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati”. A metà degli anni 2000, Pittelli finì al centro dell’inchiesta “Why Not” da cui uscì pulito. Il lavoro dell’allora pm Luigi De Magistris, però, era solo la punta dell’iceberg che il procuratore Nicola Gratteri e i suoi sostituti hanno fatto emergere.

La carriera del berlusconiano – Eletto deputato dal 2001 e membro della Commissione giustizia della Camera, Pittelli è stato uno dei consiglieri più ascoltati da Silvio Berlusconi in materia di riforma del sistema giudiziario. Nel 2006 è passato al Senato ma nel 2011, dopo aver litigato con il “cavaliere”, non venne più candidato e qualche anno più tardi ha aderito a Fratelli d’Italia. In un’intercettazione, i carabinieri lo sentono raccontare di aver ricevuto una telefonata da Giorgia Meloni che gli offriva una candidatura alla Camera. Quando è stato arrestato lo ha scaricato in meno di 30 secondi ma due anni prima, nel 2017, per dargli il benvenuto in Fratelli d’Italia, il futuro presidente del Consiglio, con un post pubblicato su Twitter, lo definì “un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia”. Erano gli anni in cui, piuttosto, per la Dda di Catanzaro, Pittelli era parte integrante di quel sistema di potere che divora le risorse pubbliche della Regione. I pm non hanno dubbi: il posto dell’ex senatore era “in quella particolare frangia di collegamento con la società civile, rappresentata dal limbo delle logge coperte”. Tutto questo gli è costato una condanna in primo grado a 11 anni di carcere. Proprio a Pittelli che, dalle intercettazioni finite nel fascicolo, prima di essere arrestato sperava di finire la carriera come membro laico del Consiglio superiore della magistratura.

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