Un ospedale che è rimasto senza medici, l’unico che arriva è un ginecologo condannato in primo grado per violenza sessuale. È il caso degli abitanti delle Madonie, nel cuore della Sicilia: il loro ospedale, Madonna Dell’Alto, essenziale per almeno 9 comuni, perde pezzi. Dal 2016 sono stati chiusi il punto nascite, il reparto di Ginecologia e Ostetricia e poi anche il reparto di Ortopedia e quello di Cardiologia. Dal 2021 anche il reparto di Pediatria ha chiuso i battenti e dal 2024 saluterà anche quello di Medicina generale.
Alle proteste, l’ultima l’11 novembre, cui hanno partecipato migliaia di persone, l’Asp di Palermo aveva risposto inviando il dottor Biagio Adile – per il distretto di Corleone–Petralia Sottana – ex primario dell’ospedale Villa Sofia di Palermo. Solo che Adile è condannato in primo grado a cinque anni e due mesi per violenza sessuale nei confronti di una paziente tunisina che ha registrato gli incontri denunciando la violenza. Secondo l’Asp è tutto in regola considerata la presunzione di innocenza, poiché Adile “è stato l’unico a presentarsi al concorso per quel posto”. Il problema dei concorsi è infatti il principale per le zone delle Madonie: “Negli ultimi 4 anni – spiegano ancora dall’Asp – sono stati 93 i concorsi a tempo determinato e indeterminato banditi e conclusi per cercare la soluzione ai problemi di reclutamento, ma purtroppo nessuno dei professionisti ha accettato la destinazione”.
I buchi nell’organico oggi sarebbero circa 60 ma altri reparti stanno per chiudere prima della fine dell’anno. “Quella per salvare l’ospedale Madonna dell’Alto – spiega la portavoce della protesta che è tenuta a novembre, Tiziana Albanese – è una battaglia per salvare il futuro delle Madonie e di quei giovani che, nonostante le difficoltà, provano a non cedere al ricatto dell’emigrazione forzata. I tagli alla spesa pubblica in materia di sanità, le leggi nazionali basate sulla logica dei numeri, la carenza di medici dovuta alla persistenza del numero chiuso per l’accesso a Medicina e alle borse di specializzazione, mostrano le più gravi conseguenze nei luoghi più difficili, come i piccoli paesi dell’entroterra siciliano”.
Eppure quell’ospedale è essenziale per nove comuni: per partorire, adesso, gli abitanti di Petralia Soprana, che hanno l’ospedale a un passo, devono impiegare un’ora di strada tortuosa e dissestata fino a giungere dalle montagne al mare, a Termini Imerese, il punto nascite più vicino. Le strade impervie delle Madonie, oltre alle carenze strutturali che le rendono pericolose, scoraggiano i medici che cercano anche contratti stabili e a tempo indeterminato – problema che riguarda non soltanto la sanità siciliana ma anche quella nazionale, messa in croce dalle scarse finanze – a favore della sanità privata che offre ben altri scenari.
“Gli istituti contrattuali vigenti – continua il commissario dell’Asp Daniela Faraoni – non consentono di fornire incentivi per invogliare i professionisti a scegliere destinazioni ospedaliere ritenute disagiate”. La protesta però è già avviata e unisce le Consulte giovanili madonite, il comitato cittadino Petralia Sottana, il movimento civico “Pediatria a Petralia”, sindaci e citadini: “Senza salute non si può vivere nelle aree interne – spiega il sindaco di Petralia Sottana, Pietro Polito, a nome dei colleghi del distretto sanitario 35. Vogliamo che il lungo lavoro che da più di un anno ha coinvolto tutte le parti in causa, compresa l’Asp di Palermo e l’assessorato regionale della Salute, venga realizzato. La cosa più urgente oggi è che arrivino nuovi medici per riempire i reparti a rischio chiusura e per dare supporto al personale medico già attivo e stremato. Bisogna riempire la pianta organica approvata nel 2019 anche tramite l’attingimento a graduatorie di altre Asp e l’indizione di bandi per medici comunitari ed extracomunitari. Non ci possono essere cittadini di serie A e di serie B e la sanità non è un ambito su cui risparmiare e ragionare per tagli”.
Così la desertificazione cittadina corrisponde a una desertificazione sanitaria: “Dovesse chiudere questa struttura, gli abitanti sarebbero costretti, per curarsi, a spostarsi negli ospedali più vicini: a Cefalù o Termini Imerese, vale a dire a circa 70km di distanza”, spiega Aldo Nasello delle Consulte Madonie. È inutile parlare del diritto a restare in questi posti, se non si riescono a garantire diritti fondamentali, come quello alla salute”.