Ci sono grandi opere d’ingegneria civile dall’aroma mitico. Già ai tempi delle Guerre Puniche, terzo secolo prima di Cristo, si pensava di unire le due sponde dello Stretto. Un pensierino ce lo fece perfino Carlo Magno. Quasi 200 anni fa, il Re delle Due Sicilie fece produrre un concreto studio di fattibilità ma, visti i costi troppo alti dell’opera, rinunciò a malincuore. Nel 1876, il ministro pro-tempore dei Lavori pubblici, il patriota bresciano Giuseppe Zanardelli, dichiarava solennemente che “sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente”. E, dal dopoguerra in poi, le cronache ripropongono periodicamente, a governi alterni ma non alternativi, la mitica impresa con rinnovata lena, solida vena progettuale, relativo finanziamento a perdere.
Il Ponte sullo Stretto è comunque una modesta utopia rispetto ad altre magnifiche visioni a pronta presa, politica e finanziaria, che sono state coltivate dall’ingegno umano nel corso della storia.
Il Progetto Atlantropa fu concepito negli anni 20 del secolo scorso dall’architetto tedesco Herman Sörgel, morto nel 1952 in un incidente stradale mai chiarito. Proponendo di drenare parzialmente il Mar Mediterraneo, egli mirava a due grandiosi obiettivi: creare nuove terre da coltivare e produrre energia idroelettrica (v. Figura 1).
Il piano comprendeva lo sbarramento dello stretto di Gibilterra e dei Dardanelli, assieme un altro paio di dighe nel cuore del Mediterraneo e altre in Africa, per ottenere un progressivo abbassamento del livello del mare, creando così nuove terre dove stabilire nuovi insediamenti urbani e rurali (v. Figura 2). Perché no? Quando c’erano i Neanderthal, il livello del Mediterraneo era un centinaio di metri più basso rispetto a oggi.
Calare questo livello di 100 metri avrebbe prosciugato quasi 700mila chilometri quadrati di terre da destinare all’agricoltura. Con qualche modesta conseguenza: il certo innalzamento dei livelli oceanici di un “solo” metro, la probabile deviazione della Corrente del Golfo con effetti sul clima nord-europeo, la possibile trasformazione del Mediterraneo in un mare salato come il Mar Morto. E l’emersione di un enorme deserto salato dalla dubbia coltivabilità.
Quando se ne discusse, nella prima metà del Novecento e nel primo dopoguerra, i promotori godevano di parecchio consenso. Quasi nessuno dubitava dei benefici per la produzione agricola e della possibilità di realizzare una rete elettrica pan-atlantropa. E il progetto venne perfino caldeggiato da chi ne vedeva l’efficacia per proteggere Venezia quale punto di riferimento culturale, per ridurre del rischio sismico nell’intero bacino mediterraneo, per influenzare positivamente il clima regionale, non si sa bene come.
Il progetto originò un movimento assai attivo e abbastanza popolare tra gli architetti, gli ingegneri e gli urbanisti dagli anni 20 agli anni 50 del XX secolo. Questa corrente di pensiero promuoveva il pacifismo attraverso l’uso pacifico della tecnologia, il Pan-Europeismo orientato a unire l’Europa, l’Eurocentrismo quale polo di attrazione dell’Africa, una geopolitica neocoloniale che vedeva il mondo diviso in tre blocchi continentali – America, Asia e Atlantropa – in sintonia con l’ordine planetario poi profetizzato da George Orwell (v. Figura 3). Chissà che qualche politico con velleità pan-mediterranee non lo riproponga, magari aggiornandolo, in vista del prossimo futuro elettorale europeo.
Nelle prossime puntate parleremo di Direttissima tra Genova e le metropoli padane, il Ponte di Bering, il progetto originale del Great Belt Fixed Link danese, il canale di Chabrol, l’ascensore spaziale, la mega piramide e la Sky Mile Tower di Tokio, e chissà quale altra alzata d’ingegno.