Muore uccisa Giulia e la sorella, lucida, con uno spirito di presenza senza eguali, raccoglie le forze e parla. Ma dalle vittime e dai parenti delle vittime si esige che ci si affidi al patriarcato, allo Stato, lo stesso patriarcato che ha costruito la cultura che ha portato un uomo ad uccidere Giulia, lo stesso Stato che in Parlamento europeo non ha firmato per ratificare la Convenzione di Istanbul e che non vuole sentir parlare di corsi di educazione al rispetto del consenso e di genere nelle scuole.

Se non riesci a far tacere la sorella, Elena, bisogna screditarla, e lo fanno uomini con titoli d’ogni sorta, editorialisti paternalisti che vorrebbero dirle “zitta, piccina, queste son cose da maschi”. Hanno scritto di tutto, continuano a farlo, e lei continua a parlare, mentre Non Una Di Meno si muove per manifestazioni in ogni città d’Italia, custodendo rabbia ed elaborando il dolore per farlo diventare rivendicazione.

Questo è ciò che insegna la lezione femminista. Questo è quel che facciamo.


Tutti i tromboni che stanno scelleratamente insultando Elena dovrebbero parlare di privilegio maschile, interrogarsi sulla cultura maschilista che costruiscono, invece insistono nel rivendicare potere in termini di visibilità e parola. Lo fanno dall’alto dei loro quotidiani pagati con i soldi dello Stato, dall’alto delle nomine volute da partiti maschilisti. Lo fanno con un potere che gli è stato conferito perché non sono burattinai ma burattini di chi tenta di portare l’Italia al regresso. Miseri patriarchi di un’Italia che non ci rappresenta più, miseri a prendervela con Elena, a misurare il suo lutto secondo il vostro metro di valutazione, miserrimi nel vostro onnipresente negazionismo su quel che è femminicidio e nel vostro onnipresente sforzo di cambiare le carte in tavola e spostare l’oggetto della discussione. Se non contro la donna morta che c’è di meglio che dare addosso ad una donna viva?

Zitte e giammai furiose, così ci vogliono. Zitte e compiante, zitte e puntellate da pietosi ghirigori di chi non avrebbe neppure titolo per definirsi giornalista, deputato, membro di partito.

Sorella, Elena, grazie per tutta la tua lucidità, per le tue rivendicazione, solo a te va data voce, solo tu hai le idee chiare. Non ti scoraggiare, non ti lasciar zittire da nessuno. Quei tromboni periranno sotto l’onta della colpa più oscena: la corresponsabilità culturale nei femminicidi in Italia. Sono violenze istituzionali, sono delitti di Stato, hai ragione, sono tutto ciò che hai affermato.

Coraggio. Non sei sola.

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