Trenitalia e Francesco Lollobrigida giocano di sponda sul caso della “fermata ad personam” sollevato mercoledì da uno scoop del Fatto. Ma il gioco non regge e peggiora la posizione di entrambi. Il riassunto: lunedì, nel bel mezzo del caos sulla rete ferroviaria dovuto un guasto sulla tratta Roma-Napoli, il ministro dell’Agricoltura e cognato della premier Giorgia Meloni ha ottenuto di far sostare il Frecciarossa su cui viaggiava (con quasi cento minuti di ritardo) a una stazione non prevista, quella di Ciampino, dov’è sceso insieme al suo entourage per recarsi in auto blu a Caivano (Napoli) per partecipare all’inaugurazione del nuovo parco urbano. Nel pomeriggio il gruppo ferroviario ha dato la propria versione in una nota, sostenendo che la sosta extra non abbia “comportato ulteriore ritardo per i viaggiatori, né ripercussioni sulla circolazione, né costi aggiuntivi per l’azienda”. Poi, però, Trenitalia ha fornito di sua sponte qualche esempio di “motivazioni” per cui un treno può effettuare una fermata straordinaria. E non ha citato gli impegni istituzionali di un singolo esponente del governo, ma situazioni un po’ più urgenti, quali “interventi del 118, presenza a bordo treno di viaggiatori intemperanti o casi di ordine pubblico“.

Eppure Lollobrigida si appoggia proprio a quella nota per argomentare la sua difesa. In un comunicato ammette di aver “chiesto se fosse possibile” scendere in occasione di una delle soste del treno, “come anche altri passeggeri” (a cui però normalmente viene risposto picche, perché non hanno la fortuna di essere ministri). La fermata a Ciampino, rivendica, era “disponibile alla discesa di tutti, come da annuncio diffuso sul treno”: ma a quanto pare nessun altro viaggiatore ne ha usufruito, forse perché, a differenza di “Lollo”, non aveva un’auto blu ad aspettarlo. Soprattutto, afferma l’esponente di FdI, episodi come quello denunciato dal Fatto “abitualmente al ricorrere di casi straordinari“, cioè per quei motivi “che Trenitalia ha già spiegato” nella sua nota precedente. Motivi che però, appunto, sono riconducibili a emergenze sanitarie o di ordine pubblico, non certo alla necessità di un politico di presenziare a un’inaugurazione.

Dalla stazione “ho continuato con l’auto di servizio, assegnatami per legge e alla quale, a inizio mandato mi hanno spiegato, non potevo rinunciare se non creando problemi di sicurezza pubblica”, sottolinea il ministro-cognato per allontanare l’effetto-casta. Poi si lancia in un’appassionata arringa in cui, in buona sostanza, riconduce l’intera vicenda al suo spirito di sacrificio: “Avrei potuto restare tranquillamente sul treno, come ho sempre fatto in occasione di ritardi ben più prolungati in passato, né ho mai approfittato del mio ruolo in alcuna occasione. Ho creduto e credo che la mia responsabilità fosse provare a garantire, senza violare alcuna legge o abusare del ruolo che ricopro, la mia presenza dove era stata richiesta e prevista. Per rispetto dei cittadini di Caivano soprattutto. L’unico privilegio che ho ricevuto è poter essere con loro, incontrare le persone che mi aspettavano, ringraziare i nostri uomini e donne in divisa e gli studenti. Piantare con loro l’albero della legalità dedicato al giudice Falcone al centro del Parco dimostrando che lo Stato c’è e non dà buche”.

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