Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scatenato un’ondata di ribellione, di rabbia e indignazione mai viste prima per altri atti così efferati e crudeli che colpiscono le donne.

Il perché è da ricercarsi in tanti motivi: prima di tutto perché la misura è colma e questa è la classica goccia che fa traboccare il vaso, poi perché ha impressionato molto l’immagine di questa ragazza, di sua sorella che è riuscita in un momento così doloroso, a parlare della morte di Giulia senza rabbia e senza pietismo, della sua famiglia, una famiglia come tante che ci colpisce perché quella famiglia potrebbe essere la nostra; e poi non dimentichiamo che siamo vicini al 25 novembre, giornata che tristemente ogni anno è piena di convegni, incontri e manifestazioni perché la violenza non si placa e i femminicidi continuano incessantemente a stroncare vite.

Questa infinità di informazioni, di articoli, testimonianze e pareri di esperti ed esperte più o meno conosciute (che si sentono in dovere di dire la loro anche se del problema non si sono mai occupati) è senz’altro utile ma mi sconcerta. Mi sconcerta soprattutto il fatto che in molti articoli è come se avessimo scoperto oggi quello che tante donne, tante femministe, tante studiose, vanno ripetendo da anni.

I motivi a noi sono ben chiari, anzi il motivo è uno solo: la società patriarcale in cui viviamo. Non c’è ambito in cui il maschilismo e il patriarcato non siano presenti. Combattiamo tutti i giorni con gli stereotipi culturali che sono così radicati, sedimentati nella nostra vita che spesso neanche ce ne accorgiamo. E più gli stereotipi sono subdoli, impliciti, più i soggetti tendono ad assumere comportamenti conformi. Si nutrono di parole sbagliate, di frasi sessiste dette a volte per scherzo al bar tra gli amici, di comportamenti che possono sembrare innocui e a volte persino accudenti ma sono invece sintomo di controllo, di sorveglianza, di relazioni nocive scambiate per amore.

Ma non sono solo gli uomini ad esserne pervasi: molte donne non si accorgono di alimentare o subire certi pregiudizi, tollerando frasi, atteggiamenti e giustificandoli con il “si è sempre fatto così”, o per quieto vivere, per evitare discussioni. Invece bisognerebbe alzare la testa sempre. Anche quando si tratta di piccoli e apparentemente insignificanti atteggiamenti. Una mia amica mi faceva notare che alle cene sono molto spesso le amiche della padrona di casa ad alzarsi per aiutarla. Perché? Perché gli uomini ritengono del tutto naturale rimanere seduti ad aspettare di essere serviti?

La quasi totalità degli uomini ritiene normale questi comportamenti e li minimizza, non comprendendo che questo, seppur non li renda certamente violenti o maltrattanti, contribuisce ad alimentare una cultura patriarcale che in altri uomini può sfociare n violenza.

Questa rivolta di molte donne e alcuni uomini, che in questi giorni sembra non placarsi, cambierà qualcosa? Sono pessimista, non penso che cambierà granché neanche questa volta. Perché viviamo in un mondo che è stato costruito a misura d’uomo dove l’uomo è sempre stato visto come soggetto più importante, più potente e ha goduto di maggiori diritti e questi pensieri sono sedimentati e radicati in modo più o meno penetrante dentro di noi.

Solo in un tempo relativamente recente, rispetto alla stratificazione di questi concetti avvenuta nei secoli, i movimenti femministi hanno iniziato a portare alla luce la disparità di genere nella società, e a rivendicare tutti i diritti negati mettendo la figura maschile non più come essenziale nella vita pubblica e privata, ma come un elemento che coesiste insieme alle donne. Mettere in discussione il patriarcato, un sistema sociale nel quale il potere, l’autorità e i beni materiali sono concentrati nelle mani dell’uomo, ha portato a numerose lotte e riforme che hanno visto le donne maggiormente incluse, ma specularmente a far perdere agli uomini molti privilegi e a metterli perennemente in discussione, come se, una pari equità uomo/donna, fosse una minaccia per la figura maschile. E questo non è accettato da tanti uomini e a volte anche da troppe donne.

E come pensare di fare una rivoluzione culturale quando la politica è assente o fuorviante o addirittura respingente rispetto a questi temi? Quando abbiamo una Presidente del Consiglio che, indicata da Lilli Gruber come espressione di una cultura patriarcale, posta una foto che la ritrae insieme alla figlia, alla madre e alla nonna e ironizza dicendo “e questa sarebbe una famiglia patriarcale?”, non cogliendo che non è certo questo il punto e che solo con la consapevolezza di essere tutti immersi in questa cultura possiamo venirne fuori.

O quando l’esperto, a cui il ministro dell’Istruzione Valditara avrebbe affidato le linee guida sull’educazione alle relazioni, ha pubblicato un libro La guerra dei sessi dove sostiene tesi su un fantomatico movimento intenzionato a schiavizzare gli uomini e scrive: “Dietro la punta dell’iceberg dei femminicidi, sembra però esserci il grande corpo dell’iceberg costituito dal bisogno di sottomissione maschile. È come se gli uomini, lo ribadiamo, facessero davvero fatica ad avere un rapporto equilibrato col femminile: o sono carnefici, o sono vittime. […] C’è una piccola, ma appariscente popolazione di donne, che approfitta di questa tendenza maschile alla sottomissione, e ne fa una vera e propria fonte di business”. E altre tesi allucinanti di questo tipo.

O ancora quando un Consigliere regionale Veneto del centrodestra si permette di attaccare Elena Cecchettin, sorella di Giulia, perché le sue parole sulla cultura dello stupro sarebbero “un messaggio ideologico, pronto per la recita”.

Ma soprattutto quando abbiamo un governo che per rispondere al fenomeno della violenza usa solo una politica securitaria che si concentra sull’innalzamento delle pene e che anche per alcuni provvedimenti, che potrebbero risultare utili, non destina le risorse necessarie al loro funzionamento (per esempio il potenziamento degli uffici giudiziari a fronte di una maggiore mole di lavoro).

Non vogliamo strumentalizzare il dolore, non vogliamo neppure affermare che i governi precedenti abbiano fatto molto su questo tema, ma non possiamo non rilevare che il linguaggio, le posture, le frasi che sentiamo dagli esponenti politici di questo esecutivo ci fanno fare parecchi passi indietro per sconfiggere quella che rimane l’unica vera causa della violenza contro le donne: il patriarcato.

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