Il Barcellona che piange miseria lo ricordiamo tutti. L’impossibilità di trattenere Lionel Messi anche se questi si fosse ridotto lo stipendio del 99%; le difficoltà nell’ingaggiare nuovi giocatori a causa del tetto salariale imposto dalla Liga; le lamentele di Xavi sul non poter comprare i giocatori (Bernardo Silva) maggiormente funzionali alla propria idea di calcio; il regalo all’Inter Miami di due veterani quali Sergi Busquets e Jordi Alba pur di alleggerire il monte stipendi. Ma l’ultimo bilancio presentato non si è rivelato l’ennesimo, prevedibile bagno di sangue, anzi, in maniera assolutamente clamorosa i blaugrana hanno presentato un utile di 304 milioni di euro. Il tutto prodotto in una stagione, quella del 2022/23, non felicissima a livello sportivo, con la squadra fuori dalla Champions League già ai gironi. Un risultato possibile grazie a una politica che potrebbe essere ribattezzata “illusionismo contabile”.
A livello di entrate il Barcellona è cresciuto molto rispetto all’annualità precedente, superando nuovamente quota 800 milioni di euro, avvicinandosi al primato assoluto stabilito nella stagione 2018/19 (814 milioni). Due i pilastri: i ricavi da stadio che hanno toccato la cifra record di 190 milioni, nonostante le poche partite europee casalinghe disputate (tre in Champions e una in Europa League); e quelli da sponsorizzazioni e attività commerciali, i cui introiti generati sono stati pari a 390 milioni. Una cifra clamorosa ottenuta sull’onda di lucrosi contratti stipulati con Nike, che verserà 100 milioni l’anno nella casse dei catalani fino al 2028, e Spotify, 70 milioni annui fino al 2026. L’unico scricchiolio riguarda la voce dei diritti televisivi, con 34 milioni in meno rispetto ai 250 della stagione 2021/22. Questo perché, nonostante il contratto a rialzo con la Liga, dei 166 milioni previsti, 41 sono finiti sul conto della Sixth Street, la società a cui il Barcellona ha ceduto fino al 2047 il 25% dei propri ricavi dai diritti tv nazionali in cambio di 665 milioni subito disponibili in cassa. É stato calcolato che, qualora i diritti tv dovessero attestarsi sulle stesse cifre anche dopo il 2027, anno in cui scadrà l’attuale contratto con la Liga, la Sixth Street impiegherebbe sedici anni a rientrare dal proprio investimento, con i rimanenti nove anni di guadagno netto (e conseguenti perdite per il Barcellona). Tempistiche ulteriormente ridotte se i futuri contratti saranno ancora più sostanziosi.
Joan Laporta ha ereditato da Josep Bartomeu una situazione contabile che presentava, nell’ultimo anno, una perdita di 481 milioni. A dispetto delle condizioni finanziarie, ha subito messo in chiaro di non avere intenzione di imporre una politica di austerity alla società, svendendo i big con il rischio di trasformare il club in una versione blaugrana dell’Espanyol. Da qui la ricerca di soluzioni alternative come quella con la citata Sixth Street, ovvero una parziale ipoteca sul futuro in cambio di denaro immediatamente disponibile. Lo stesso è accaduto con la cessione del 49% di Barca Vision, il ramo che – tra le altre cose – produce contenuti audio video e multimediali del club, per 193 milioni. Un’operazione che ha permesso una rivalutazione, a livello contabile, anche della quota di maggioranza rimasta al Barcellona, che ha potuto mettere a bilancio ulteriori 200 milioni. Non si è trattato ovviamente di nuova liquidità, a differenza dei soldi della Sixth Street e di quelli della vendita di Barca Vision, ma sulla carta si è trattato di un nuovo introito, la cui contabilizzazione ha migliorato ulteriormente il risultato. Sommando infatti le tre cifre (665 milioni Sixth Street, 193 per il 49% di Barca Vision, 200 per il 51% di Barca Vision) si ottiene un risultato di 1.08 miliardi di euro. Una cifra risultata cruciale per presentare il mega profitto finale.
A livello operativo il Barcellona continua a operare in perdita, e non potrebbe essere altrimenti, visto che il costo del personale (giocatori, staff tecnico e dipendenti del club) nel 2022/23 ha toccato quota 571 milioni di euro, con una crescita del 42% rispetto alla stagione precedente. Aggiungendo tutti gli altri costi operativi che una società top come quella catalana deve sostenere, si superano abbondantemente gli 806 milioni di ricavi. A livello di trasferimenti, il Barcellona ha indubbiamente ridotto le spese sul mercato rispetto all’era Bartomeu – e lo si vede dai costi di ammortamento della rosa, nettamente decresciuti – ma non riesce a compensare con cessioni importanti il divario ancora rimanente. Lo scorso anno il club ha cercato disperatamente di sbarazzarsi dei giocatori più costosi, in primis, Frenkie de Jong, quasi mobbizzato pur di costringerlo a una cessione, o a un taglio di stipendio, da lui non contemplati. Altri giocatori (Coutinho, Pjanic, Neto) sono invece stati venduti per importi inferiori al loro residuo valore contabile, generando una perdita di fatturato di 42 milioni. Tutte situazioni che creano un bilancio in perdita strutturale al quale il Barcellona ha messo una toppa utilizzando, in due anni, il miliardo di euro generato dalle operazioni menzionate sopra. Nel 2021/22 sono stati utilizzati 266 milioni provenienti dalla Sixth Street per cancellare un deficit di oltre 100 milioni e trasformarlo in un utile di pari importo. Un’operazione che, tra le altre cose, ha permesso ai catalani di ingaggiare Lewandowski, dal momento che le nuove entrate avevano innalzato sensibilmente il tetto degli stipendi previsto dalla Liga. Nel 2022/23 il deficit è ulteriormente incrementato, ma grazie agli ottocento milioni di Sixth Street e Barça Vision si è arrivati all’utile netto di 304 milioni.
Ovviamente questi trucchi di magia contabile non possono essere ripetuti ogni volta, trattandosi di entrate una tantum. Il Barcellona oltretutto in Europa è il club più indebitato, con una cifra che si attesta attorno ai 2.5 miliardi di euro. Si tratta di debiti a lungo termine, la metà dei quali riguarda il finanziamento per l’allargamento e la modernizzazione del Camp Nou, a detta di Laporta un progetto (il cui termine è previsto nel 2026) che rappresenta la pietra angolare destinata a portare il Barcellona a lambire il miliardo di fatturato. Il problema del club non è tanto dal lato delle entrate, quanto da quello delle uscite. Il ventre molle dei catalani rimangono le spese. Da troppo tempo a libro paga c’è una selezione che non riesce a tradurre il proprio valore economico in adeguati risultati sportivi, specialmente in Europa. E nel medio periodo qualsiasi illusione, specialmente se contabile, è destinata a svanire.