Quando è arrivata la notizia del rapimento della ragazza da parte dell’ex fidanzato tutti speravamo che lui avesse un recupero di lucidità. Purtroppo la situazione è degenerata in un brutale omicidio. In questi casi si rimane sgomenti e verrebbe voglia di stare in silenzio per elaborare il lutto. Lutto per la giovane ragazza e lutto per la fiducia nel genere umano. Purtroppo gli “avvoltoi” si sono subito accaniti su questa vicenda. Chiamo avvoltoi tutti coloro che straparlano e soprattutto usano un evento drammatico per cercare visibilità o peggio per ottenere benefici politici o far passare una legge.
Non bisognerebbe mai emanare una legge sull’onda di un’emozione forte come questa ma attendere che la mente torni lucida. Non si devono prendere decisioni, proporre astruse regole o comportamenti a seguito di eventi drammatici sull’onda dell’indignazione.
La mente lucida ci rende consapevoli che è utopico pensare di eliminare le brutture della vita e portare a zero le uccisioni. Intervengono fattori irrazionali, inconsci nelle dinamiche emotive che travolgono le persone coinvolte in una relazione emotiva e sessuale. Purtroppo saremo qui a soffrire e a elaborare il lutto anche per altre ragazze nei prossimi mesi. Perché allora tanto clamore per questo caso di cronaca? Ritengo siano due i motivi.
Da un lato la “normalità” del ragazzo appartenente a una fascia sociale abbastanza agiata tale da permettergli di frequentare l’università. Dall’altro il fatto che si tratta di uno studente di Ingegneria. Non possiamo dire fra noi: “Bhe! In effetti era un disadattato” ma accettare l’idea che assomigli tanto ai nostri figli. Anche l’abusato concetto di raptus non ci viene in aiuto perché fra il momento del rapimento e il momento del brutale omicidio è presumibilmente passato del tempo durante il quale ha avuto il tempo di ragionare.
Dobbiamo mentalmente rassegnarci all’idea che esistono delle situazioni psichiatriche che sconvolgono anche menti insospettabili e che – se si instaura un disturbo depressivo o paranoico – nessun ragazzo è in grado di controllare la sua vita psichica senza chiedere aiuto. Per non parlare dei vissuti inconsci distruttivi che attanagliano la mente di chi vede finire una relazione significativa per la sua vita.
In questi mesi ho visitato un ragazzo di 21 anni che a 16 venne lasciato dalla fidanzata. In quei momenti lui si incolpò dell’accaduto pensando che non le era stato abbastanza vicino e, travolto dal senso di colpa, tentò il suicidio. Fortunatamente il padre entrò nel garage e lo salvò. Da allora ha avuto alti e bassi con però predominante il senso di inutilità della sua vita. Solo ora, dopo 5 anni, riesce a vedere la luce. Cito questo caso per mostrare la profondità del malessere che può attanagliare le giovani menti in relazione ad esperienze amorose.
L’educazione all’affettività non si può fare con una decina di ore di lezione all’anno. Si tratta di uno strumento assolutamente inadeguato. Sarebbe come se durante l’incendio della nostra casa dal governo venisse in aiuto qualcuno con un bicchiere d’acqua. Il processo educativo è lento e complesso. Richiede uno sforzo da parte di tutta la società per far accettare ai giovani le frustrazioni e non seguire la pubblicità che propagandata l’idea che l’unico modo di esistere è essere vincenti e perfetti, con la macchinona, la ragazza giusta e i soldi a palate. Le famiglie dovrebbero essere in grado di insegnare che si può essere felici anche se avvengono intoppi e sfortune nelle nostre vite.
Essere lasciati dalla persona che si crede di amare è terribile per chiunque per cui i genitori e gli amici devono stare vicino alle persone che vivono questo momento. Non si deve demonizzare un trattamento psicologico o farmacologico che può aiutare a superare una fase difficile. Occorre soprattutto ripensare il modello consumistico delle relazioni sentimentali e sessuali per cui molti giovani non riescono a perdere ciò che “possedevano”.