di Nicola Belfiore*
“Bisogna intraprendere un percorso di educazione all’affettività e chi meglio della scuola per una diffusione capillare ed efficace”. Questa, da qualche giorno, l’affermazione rimbalzata sulla bocca di tutti e diffusa dai telegiornali nazionali. Sulla scia dell’ultima atrocità sull’ennesima donna, ecco che ritorna in ballo la scuola. Succede puntualmente ogni volta che i nostri governanti prendono coscienza, in un momento di lucidità mentale, del ruolo fondamentale e direi indispensabile che la scuola riveste nel nostro paese e in tutto il mondo.
È stato così quando si è parlato, di educazione civica, ritornata ultimamente alla ribalta, ci siamo serviti della scuola per sensibilizzare le nuove generazioni sull’ambiente e sul riciclo dei materiali, abbiamo affrontato poi il periodo delle tossicodipendenze con progetti finalizzati, per non parlare dell’impegno profuso da parte dei docenti sulla dispersione scolastica del nostro sud, sul contrasto della delinquenza minorile, sulla riduzione dell’inquinamento del pianeta, sulla sensibilità crescente dell’inclusione e dell’omofobia; queste ed altre centinaia di tematiche che i docenti e gli alunni, nel rispetto dei dettami politici, sociali ed istituzionale, hanno portato e portano ancora adesso avanti con importanti risultati.
Voglio infine ricordare il triste periodo della pandemia dove la volontà di “fare scuola” dei docenti ha superato ogni limite e limitazione. Si è fatto appello alle chat, ai messaggi, alle videochiamate, impegni 24h per chi non voleva eludere il diritto costituzionale allo studio. Nessuno si è risparmiato, e la scuola, ancora una volta, ha avuto un ruolo centrale e cruciale. Il mood è sempre lo stesso: se si vuole comunicare in modo capillare ed efficace con le nuove generazioni, gettando il seme del sapere, dell’informazione e della conoscenza, si deve sempre e comunque fare riferimento e affidamento alla grande istituzione scuola. Di contro, però, non si forniscono i mezzi e i materiali per portare avanti queste direttive di governo che spesso sanno di autocelebrazione e di strumentalizzazione gratuita a tempo.
Cavalcare una angosciante notizia di cronaca per svegliarsi, dopo il torpore di decenni, e dire: dobbiamo diffondere nella scuola questo messaggio di convivenza di coppia, rispetto dei sentimenti e di affettività, è molto semplicistico e suscita corali applausi solo in Parlamento. Nessuno ha detto come, con quali mezzi e con quali fondi di investimento, perché di questo si tratta, di un investimento culturale sull’intera umanità e nei modi più efficaci che ci possano essere, ovvero, attraverso i canali deputati alla formazione di cervelli. I “correttivi sociali”, inneggiati con ipocrita convinzione, non hanno fatto i conti con l’applicazione sul territorio.
Lo sanno bene i docenti quante difficoltà ci sono oggi a farsi ascoltare dagli alunni che ricalcano esempi di famiglie devastate e senza alcuna regola. Le scuole, spesso adattate a livello strutturale ad edifici fatiscenti e per nulla a norma, sono oggi, per la maggior parte, in serie difficolta di sopravvivenza, la favola della carta igienica è purtroppo una costante realtà anche in questo 2023, dove si parla di intelligenza artificiale. Non accenno neanche alle retribuzioni umilianti, in coda alle classifiche europee, perché è solo una piccola parte (fondamentale) del transatlantico scuola, scontratosi già da decenni contro il ghiaccio indistruttibile di un iceberg istituzionale e politico.
Oggi i docenti, anche se depotenziati emotivamente e professionalmente, pensano sempre a qualcosa di nuovo ed innovativo per i nostri giovani in un impegno continuo per rinnovare ed interessare veramente chi ha voglia di apprendere. Si sperimentano mezzi attuali ed accattivanti per vivacizzare le lezioni scolastiche e far sì che i giovani possano innamorarsi della conoscenza e del sapere. Manca però la convinzione politica ed istituzionale di favorire e incentivare ogni singola iniziativa, progetto e proposta con la concretezza di interventi strutturali nel tempo in modo costante e duraturo, indispensabile per non abbandonare una così importante istituzione alla deriva di un oblio culturale che ci porterà, in una sorta di cane che si morde la coda, al nichilismo totale senza possibilità di invertire la rotta.
*Insegnante per oltre 40 anni, oggi in pensione