“Se avessi acquistato due giorni fa, avrei guadagnato di più!” oppure “Se avessi venduto un mese dopo, avrei perso di meno!”: quante volte ho sentito queste esclamazioni piene di rammarico o rimorso espresse da investitori non sempre completamente inesperti delle dinamiche finanziarie. Non c’è da meravigliarsi in un paese in cui il livello di educazione finanziaria è sempre stato storicamente più basso rispetto alla media dei paesi dell’Ocse (nel 2020, il nostro paese occupava il 25esimo posto su 26). E laddove c’è ignoranza, lo sappiamo, il controllo dell’emotività è sempre più difficile.

Inseguire infatti il market timing, il “tempo giusto” per comprare (quando i prezzi sono bassi) o vendere (quando i prezzi sono alti) è una illusione che fa aumentare il rischio di intervenire sul mercato non solo nel momento sbagliato ma anche in quello giusto. Perché negli investimenti è il tempo che conta, non il timing. E’ un consiglio basico soprattutto per gli investitori inesperti che dovrebbero attenersi a una strategia di asset allocation ben diversificata e soprattutto pianificata nel lungo termine.

La statistica, come sempre, offre conferme. Come si può notare nei due grafici molto esplicativi, i rendimenti sui principali mercati azionari internazionali di un investimento “paziente” e costante (10 anni) sono nettamente migliori rispetto a quelli dei George Soros del quartierino che pensavano di approfittare delle fluttuazioni di breve periodo.

Una lezione ben precisa: ritirare i propri capitali nelle fasi di ribasso comporta che se poi non si riesce a reinvestire al momento giusto si perdono tutti i vantaggi della ripresa perché, lo confermano sempre le serie storiche, alcune delle giornate borsistiche peggiori e migliori tendono a verificarsi a breve distanza l’una dall’altra. In altri termini se si perdono le giornate negative, è altamente probabile che si perdano anche quelle positive. Devi avere poteri soprannaturali (e non li hanno sicuramente i consulenti finanziari) per indovinare il right timing di entrata o uscita dal mercato.

Anche perché, sebbene la maggior parte degli investitori spinge, con evidente ansia, per vendere i propri asset quando i mercati scendono, in questo modo rischiano di perdere i guadagni più consistenti durante la fase di ripresa che, spesso, può verificarsi anche solo pochi giorni dopo la fase di flessione.

Altro aspetto da non sottovalutare è la costante ricerca di alibi da parte dei consulenti finanziari “aggressivi” che, pur di racimolare commissioni e reddito, utilizzano le inevitabili crisi di mercato(19 dal 1980 – cfr. grafico a margine) per manipolare emotivamente il cliente e “rottamare”, come avvoltoi, l’investimento precedentemente consigliato proprio da loro.

Negli ultimi 50 anni l’indice azionario globale MSCI, nonostante tutte le crisi, ha prodotto un rendimento annuo del 8,3%.

Non lasciatevi, quindi, influenzare e rispettate la scadenza dell’orizzonte temporale prefissato perché la storia suggerisce che vengono premiati quegli investitori che non si fanno suggestionare dalla volatilità dei mercati e rimangono fedeli ai propri investimenti nei momenti positivi e negativi.

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