Nonostante i sempre maggiori sforzi per fermare e prevenire la violenza di genere, si parla ancora troppo poco degli abusi subiti dalle donne rifugiate. Esperienze traumatiche, vissute nei Paesi di provenienza o durante la fuga, che hanno gravi ripercussioni sull’immediata salute sessuale, fisica e psicologica delle donne, ma rischiano anche di compromettere il riconoscimento della protezione internazionale.

Per tale motivo, mossa dall’urgenza di potenziare l’intervento e la prevenzione della violenza di genere tra le donne rifugiate, l’UNHCR (Agenzia ONU per i Rifugiati), lo scorso 15 novembre, ha organizzato il primo convegno sul tema “Proteggere le persone in fuga dalla violenza di genere: sfide e risposte dall’Italia”, in cui è stato analizzato il fenomeno insieme a realtà come Centro Astalli, Differenza Donna, D.i.Re e LHIVE, in prima linea nella tutela dei diritti delle donne, per strutturare interventi efficaci e coordinati. Secondo UNHCR, è “in aumento il numero di persone sopravvissute a violenza di genere in arrivo in Italia”. E di questa realtà devono farsi carico le istituzioni. Tante sono le carenze messe in evidenza: “la mancanza di informazioni culturalmente sensibili, scarsità di servizi specializzati e di mediatrici e mediatori formati, la scarsa connessione tra sistema asilo e sistema antiviolenza, e le limitate opportunità di formazione per il personale a vario titolo a contatto con le persone sopravvissute, sono i principali ostacoli da affrontare”. Come emerso dall’incontro, “i dati relativi alla presenza nelle case rifugio restituiscono un quadre drammatico, il 62% infatti sono donne straniere. L’assenza di dati disaggregati sull’incidenza delle persone rifugiate e richiedenti asilo limita fortemente la valutazione dell’entità del fenomeno e la predisposizione di strumenti e risorse adeguati”.

E per aiutare le donne in arrivo e che si trovano già sul territorio, è necessario un intervento tempestivo. “Consolidiamo la rete per permettere a sempre più donne di avere la possibilità di accedere tempestivamente ai servizi di cui hanno bisogno per riprendere in mano la propria vita”, ha detto Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “Attraverso il nostro staff, insieme ai nostri partner, siamo in grado di facilitare l’emersione della violenza di genere anche nei luoghi di primissimo arrivo, come Lampedusa, garantendo la mediazione culturale”. Soltanto potenziando questo lavoro sinergico, insieme alle istituzioni, si può rispondere in modo efficace all’allarmante violazione dei diritti umani.

Una prova concreta è il Centro Antiviolenza e Antitratta “Libere Da Libere Per” gestito dall’associazione Differenza Donna, da oltre 30 anni attiva nel contrasto alla discriminazione e alla sopraffazione delle donne. Circa tre anni fa, nel cuore di Roma, si sono aperte le porte di questo spazio accogliente e protetto, in cui quotidianamente viene garantito sostegno, sicurezza e tutela dei diritti di donne in fuga dalla violenza e dalla tratta a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo. Figure esperte e specializzate accompagnano queste donne nel percorso finalizzato alla condivisione del loro vissuto, al graduale superamento delle vulnerabilità nonché al recupero di un senso di autonomia e autodeterminazione.

“Per fornire loro le risorse e le opportunità necessarie per costruire un futuro dignitoso e indipendente, all’interno del centro, sempre in collaborazione con l’UNCHR, l’anno scorso abbiamo attivato il progetto EMMA per l’empowerment e l’autonomia delle donne rifugiate e richiedenti asilo. Promuoviamo azioni concrete di emancipazione mirate a interrompere il circolo della violenza, offrendo a queste donne gli strumenti necessari per sviluppare consapevolezza dei propri diritti” afferma la responsabile del centro, Migena Lahi, soffermandosi sull’importanza dell’empowerment delle donne come risposta efficace alle sfide legate alla violenza di genere, durante e dopo il percorso migratorio.

Momenti di confronto, in cui le donne, grazie all’ascolto attivo ed empatico delle operatrici specializzate, lasciano emergere e dunque elaborano i propri vissuti di violenza, si alternano a incontri con legali, psicologi e operatori sanitari che dispensano pillole informative sulle tematiche più urgenti per contenere le ripercussioni della violenza. Riguardo all’ambito formativo, invece, hanno la possibilità di intraprendere percorsi finalizzati all’alfabetizzazione e, successivamente, alla formazione professionale nonché all’inserimento lavorativo.

Un ruolo importante nell’affiancamento delle donne che si rivolgono al centro – circa 200 in questo primo anno di attività – è ricoperto anche dalle mediatrici culturali, tra cui spicca Romaine Gogbe, 34enne ivoriana. “Il mio percorso di migrazione, fortunatamente, non è stato disastroso. Sin dal mio arrivo in Italia, ho sentito l’urgenza di tendere la mano a donne che non hanno avuto la mia stessa fortuna, ma grazie a una forza estrema sono riuscite ad arrivare fin qui per rimettere insieme i pezzi della loro vita” racconta Gogbe che, con l’esperienza consolidata da lunghi anni di collaborazione come mediatrice con diverse associazioni italiane, è approdata al centro antiviolenza romano gestito da Differenza Donna con il sostegno di UNHCR.

Qui, lavorando in sinergia con il team di operatori specializzati, è anche un’“antenna di comunità”. Grazie anche al comune background culturale, rappresenta un importante punto di riferimento per le donne che, a seguito della violenza subita, si trovano a dover affrontare situazioni di disagio e vulnerabilità. È una figura “ponte”, adeguatamente formata per trasferire loro informazioni necessarie per prendere consapevolezza degli abusi subiti e iniziare un cammino di rinascita. “Alcune donne – spiega – sono talmente condizionate dalla cultura di provenienza che di fronte alla violenza, spesso, non sono consapevoli dei propri diritti. Per tale motivo, è necessario risvegliare la coscienza di ognuna sino a condurle verso l’autodeterminazione”. Preferisce definirsi “l’uccello che porta messaggi”, messaggi di incoraggiamento di cui c’è tanto bisogno. “Questo lavoro è la mia medicina quotidiana, uno scambio reciproco di energia” aggiunge, evidenziando il valore della cultura per abbattere il muro della violenza. “L’istruzione ci mette in mano gli strumenti per riconoscere e tutelare i nostri diritti e, allo stesso tempo, distruggere lo stigma” chiosa, orgogliosa degli studi in Relazioni internazionali intrapresi alla Sapienza, che porta avanti con successo, di pari passo con la collaborazione con Differenza Donna per ristabilire il benessere delle donne rifugiate sopravvissute a violenza di genere, purtroppo in continuo aumento.

credits UNHCR/Alessandro Penso

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