C’è un paradosso eclatante nel meccanismo che regola l’ingresso nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) delle persone affette da disturbi psichiatrici, che hanno compiuto un reato e che non sono imputabili. Nella maggior parte dei casi come spiega Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, “si procede con liste di attesa che scorrono in base alla data di richiesta della misura sicurezza disposta dal giudice, non in base alla tipologia di necessità o alla gravità del reato”. E così al 31 ottobre scorso quelli che una volta era chiamati internati erano 654 (65 donne e 589 uomini); di questi 344 definitivi e 310 provvisori. In lista d’attesa invece 796 persone, di cui 492 provvisori e 304 definitivi.
In base a questo meccanismo può succedere che una persona che ha commesso un reato anche molto grave non trovi posto solo perché la disposizione del giudice è arrivata anche un giorno dopo rispetto a una misura decisa per una persona destinata alla struttura ma meno pericolosa. Ed è probabilmente a causa di questo irragionevole limbo che doveva essere in Rems l’uomo che in ottobre ha ucciso e fatto in pezzi la sua vicina di casa a Milano. Senza contare che sono 39 le persone che – al 31 ottobre – erano detenute illecitamente in carcere perché dovrebbero trovarsi una Rems. E proprio per un caso del genere l’Italia era stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2022.
“Le persone assegnate alle Rems sono il doppio di quelli che erano negli Opg” – “È la vittoria del metodo burocratico. Andare avanti così è più facile per tutti” spiega Palma che suggerisce di “stabilire degli indicatori che in qualche modo superino la cronologia. Indicatori che portino a dare prevalenza rispetto a ciò che si è commesso, dare un parametro di priorità ai definitivi rispetto ai provvisori”. Per il Garante, che ritiene il passaggio dagli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) alle Rems avvenuta nel 2015 “una riforma importante di civiltà“, c’è una riflessione da fare sui numeri delle persone internate o con aspettano di esserlo. “Se io unisco i numeri di definitivi e provvisori mi trovo con 1500 persone che rappresentano un numero doppio di quando sono stati chiusi gli Opg. Lo dico brutalmente, però una volta prima di mandarti all’ospedale psichiatrico il giudice ci pensava tre volte, la Rems sembra meno impattante e comunque tranquillizzante per il giudice che decide la misura di sicurezza. C’è una certa facilità nell’assegnazione alla Rems e questo è un primo problema. Le Rems non sono il sostituto dell’Opg: il sostituto è la presa in carica territoriale che può prevedere un periodo nella Rems, una valutazione e così via. Questo comporta un dispendio di risorse, ma se non si investe niente finisce così. I servizi territoriali avrebbero bisogno di molte più risorse e personale e strutture di diffusione che permettano la tranquillità della collettività e la presa in carico della persona che in fondo è un paziente e non è detenuto”.
Le strutture “critiche” – In Italia attualmente le Rems sono 32 e per chi le conosce come il Garante ci sono alcune criticità da valutare: “Quando ci fu il passaggio alle Rems, alcune strutture somigliavano troppo agli Opg. Ora ci sono molti esempi positivi e lo dico in premessa, ma cito anche due esempi particolari. Le Rems dovrebbero ospitare 30 persone, a Castiglione delle Stiviere sono 150: è l’unica maxi struttura ed è indicata centro pluri modulare di Rems provvisorie. Lei trova questo cartello all’ingresso. Al di là della bravura del personale, è un grande concentrato, un aggregato e non una piccola dimensione come sarebbe previsto. Un altro esempio molto diverso che mi lascia perplesso è Calice in Cornoviglio (La Spezia) che è una Rems che potremmo definire extraterritoriale”. Qui sono destinate tutte le persone che non possono assolutamente restare in carcere e quindi nella struttura, che dovrebbe essere territoriale, non ci sono liguri. “Mi domando se questo corrisponda a quel principio che l’ospedale si sostituisce con una presa in carico del paziente, ma come si fa se è fuori dal territorio? Poi vedendola l’ho trovata particolarmente chiusa: il passaggi da un posto all’altro avviene attraversando porte con codici di sicurezza, una situazione diversissima da altre Rems dove magari c’è anche personale della security. Inoltre lì vengono inviati i casi più complicati”.
“Una legge acerba” ma da difendere – C’è poi un’altra questione da valutare ovvero “la tendenza” a cercare di portare dentro le Rems quelli che hanno elaborato il disagio psichiatrici dopo aver commesso un reato ed erano quindi imputabili perché capaci di intendere e volere al momento del processo. “Queste persone non vanno portate nelle Rems, vanno pensate altre possibilità. Come chi sviluppa una patologia va portato fuori dal carcere, eventualmente con la sospensione della pena perché possa curarsi, così una persona che ha elaborato disagio psichiatrico va curata. A meno che non mettiamo in discussione l’imputabilità, le persone le giudico e poi le assegno a un percorso detentivo o terapeutico. Imputabile o non imputabile i due contenitori non vanno confusi, altrimenti facciamo il manicomio diffuso“.
Certo è che è fondamentale per migliorare una “legge acerba” è la collaborazione con i magistrati. I Tribunali, secondo Palma, potrebbero mettere a punto delle mappe sugli esiti delle assegnazioni: capire quante persone sono state prese in carico dai servizi territoriali, quanti hanno ricommesso reati sia di quelli sono stati ospitati nelle Rems che quelli che sono rimasti fuori. “L’unica cosa che aggiungo è che rispetto alle difficoltà di leggi che il nostro paese ha adottato in maniera coraggiosa, bisogna vincere la tendenza a dire siamo andati troppo in là e confidare in un principio giusto al quale dobbiamo dare le gambe per camminare veramente. Con coraggio e con investimenti“.
Antigone: “Non aumentare i posti in Rems, ma maggiore collaborazione” – “Noi auspichiamo un maggior dialogo, una maggiore collaborazione tra la magistratura e i servizi di salute mentale territoriale – dice Susanna Marietti (coordinatrice nazionale di Antigone) – perché quello che succede è che la misura di sicurezza psichiatrica detentiva viene data praticamente di default a tutti con qualsiasi perizia che porta al proscioglimento. Invece non bisogna arrivare per forza alle misure di sicurezza, quella dovrebbe essere l’extrema ratio, così come lo dovrebbe essere la detenzione per la pena”. Le alternative in effetti ci sono: “C’è la libertà vigilata con uno spettro di applicazioni: il magistrato potrebbe anche disporla nella misura in cui venisse applicata in una struttura residenziale e territoriale, però qui si spalanca un mondo perché noi sappiamo che l’Italia investe il 3% della spesa sanitaria sulla psichiatria e c’è un insufficienza totale del territorio per rispondere a queste situazioni di presa in carico. È un serpente che si morde la coda. Il giudice neanche ci prova a dare una libertà vigilata, perché per dare la libertà vigilata e rimandare a casa crea problemi. Così si crea la lista di attesa”.
Ed è così che si arriva anche al paradosso di chi ha la misura di sicurezza detentiva, ma resta libero. “Se ci fosse una libertà vigilata non potrebbe esserlo. Tra libertà e essere ospiti in Rems c’è tutta una gamma di possibilità di controllo. Però appunto è un meccanismo oramai perverso, ma io non credo che il punto sia continuare ad aumentare i posti in Rems o snaturarle cominciando a mandare i sopravvenuti cioè coloro che sviluppano una patologia psichiatrica”. Il problema per Antigone sono le risorse e la collaborazione: “Apriamo tavoli di confronto con i magistrati, con i servizi psichiatrici e troviamo soluzioni individualizzate per ciascuno”.
Il presidente del Tribunale di Milano Roia: “Sì alla collaborazione, ma numero Rems inadeguato” – Fabio Roia, presidente facente funzione del Tribunale di Milano, accoglie con favore sia l’invito alla collaborazione che allo screening. In premessa però ricorda che il criterio di ingresso per data è “deciso dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria)”. “I fenomeni vanno monitorati ed è quindi una proposta intelligente lo screening, ma bisogna distinguere tra misure di sicurezza applicate provvisoriamente dal Tribunale e quelle in fase esecutiva Tribunale di sorveglianza. Ci dovrebbe essere una collaborazione sui dati statistici e informatici tra i presidenti dei tribunali ordinario e di Sorveglianza e il ministero della Giustizia. Bisognerebbe creare una sorta di banca dove si incrociano i dati e capire l’esito dei trattamenti – ragiona Roia – perché nella Rems ci vanno persone che hanno due requisiti: sono parzialmente o totalmente incapaci di intendere e volere e hanno un profilo di pericolosità sociale”.
Se il monitoraggio appare al magistrato “una prospettiva di lavoro interessante”, dall’altra parte bisogna anche fare i conti con la realtà. “Quello che viene riscontrato è la necessità di posti ricovero di queste persone che hanno bisogno della Rems e della dilatazione temporale fra il momento in cui viene disposta la misura di sicurezza ,soprattutto in via provvisoria, rispetto all’esecuzione della stessa. Questa è una cosa su cui riflettere e che richiamerebbe di impatto un numero di strutture Rems non adeguato rispetto ai reali bisogno. Abbiamo misure di sicurezza non detentive perché normalmente quando non c’è una pericolosità sociale elevata il giudice applica la libertà vigilata che è una sorta di griglia di controllo che viene fatta per monitorare il comportamento del soggetto. Tra le prescrizioni che riguardano la libertà vigilata c’è quella del soggetto che viene agganciato dai servizi ed è ovviamente libero, ma c’è comunque un invio a una struttura per monitorare e curare la patologia psichiatrica“.
Esistono poi le persone che si ammalano in carcere sviluppando una patologia psichiatrica. “Una volta in fase di esecuzione della pena il presupposto cambia perché nell’applicazione provvisoria c’è un pericolo per la persona che viene riconosciuta parzialmente o totalmente ammalata di fare del male a sé stesso e agli altri. Quando siamo in fase di espiazione della pena, il problema è completamente diverso perché cambiano i presupposti: se sviluppa una malattia questa pena andrebbe espiata in luogo in alternativo al carcere o strutture detentive adeguate al trattamento della malattia che sono molte poche in Italia”. Anche per Roia il passaggio dagli Opg alle Rems è stato positivo: “Anche io credo sia sul piano simbolico – ma la simbologia va unitamente allo sviluppo di una cultura e quindi non è soltanto un fatto formale – sia sul piano dell’effettivo trattamento è stato fatto un passo avanti. Anche se poi gli Opg erano molto migliorati nel tempo sia dal punto ricettivo che della cura, il passaggio Rems dà più l’idea della necessità di trattare una malattia in un soggetto che oltre ad aver commesso un reato è un soggetto portatore di una malattia psichiatrica: c’è una maggiore attenzione alla cura del soggetto piuttosto che contenimento. Un piano molto importante per l’attuazione dell‘articolo 32 della Costituzione sulla tutela della salute di ogni persona, che è un bene primario nella scale gradiente dei valori costituzionali”.