A luglio Mark Rutte, primo ministro dei Paesi Bassi, si è dimesso rinunciando a ricandidarsi. Le elezioni del 22 novembre hanno così visto vincere il leader populista e antieuropeista Geert Wilders. Si apre per il paese una nuova era politica.
Inizia ora il processo di costruzione della coalizione, che potrebbe durare anche diversi mesi. Wilders vorrebbe formare una maggioranza di centrodestra. E tra i partiti candidati a farne parte ci sono il Vvd, il Movimento contadino-cittadino (Bbb) e Nuovo contratto sociale (Nsc), per arrivare a più di 80 seggi.
I Passi Bassi seguono così la scia europea, che vede sempre più leader dei maggiori paesi appartenenti alla destra estrema. Le promesse di Wilders sono estremamente radicali: parla di un possibile referendum per l’uscita dall’Unione europea (Nexit) e dell’ulteriore inasprimento delle politiche migratorie.
Il focus sull’immigrazione
La crisi politica che ha portato alla caduta del governo di Mark Rutte era incentrata sul tema dell’immigrazione: il legame politico della coalizione del IV governo Rutte si era spezzato a causa dell’inasprimento sulle politiche di ricongiungimento familiare dei richiedenti asilo, con l’obiettivo di limitare il numero di arrivi dopo lo scandalo del sovraffollamento in un centro di accoglienza. Il Vvd e i cristiano-democratici (Cda) premevano per adottare le misure, mentre gli altri partiti di coalizione (liberali del D66 e i calvinisti dell’Unione cristiana) vi si opponevano.
La fine del governo Rutte poteva far perdere all’Italia uno dei suoi principali alleati in Europa sul fronte delle politiche migratorie, ma ciò non è accaduto.
Come ci si poteva aspettare, il tema dell’immigrazione è stato al centro della campagna elettorale e ha polarizzato l’opinione degli elettori, guidandoli verso le ideologie fortemente anti-migratorie di Wilders. Quella dei Paesi Bassi era già una delle politiche migratorie più severe e restrittive d’Europa e, nonostante ciò, negli ultimi anni il numero dei richiedenti asilo è salito, toccando gli oltre 47 mila nel 2022. Nel 2023, secondo le stime del governo olandese, si potrebbe arrivare a oltre 70 mila, superando così il picco del 2015. Wilders ha affermato di voler ridurre questo “tsunami di richiedenti asilo”.
Visto il trend in crescita, Rutte per primo aveva tentato di inasprire ulteriormente le misure, trovando in Europa il supporto dell’Italia, paese che da anni affronta il problema migranti. La rotta del Mediterraneo centrale, quella che interessa il nostro paese e Malta, ha registrato un aumento significativo di migranti irregolari a partire dal 2020, con un picco nel 2022. Infatti dal primo gennaio al 31 dicembre dello scorso anno, i migranti giunti in Italia sono stati 105.131 (in oltre 2.500 eventi di sbarco), un numero ben più alto rispetto a quello dei Paesi Bassi, ma dovuto alla posizione centrale della penisola italiana nel Mediterraneo e alla vicinanza con il Nord Africa e il Medio Oriente.
La posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è trovata in linea con quella olandese su questo tema. Già in campagna elettorale, Meloni aveva affermato di voler difendere i confini nazionali, controllando le frontiere e bloccando gli sbarchi, in accordo con le autorità del Nord Africa. Inoltre, aveva anche dichiarato di sostenere accordi tra Ue e stati terzi per la gestione dei rimpatri di clandestini e irregolari, subordinando le intese di cooperazione alla disponibilità al rimpatrio dei paesi di provenienza. Probabilmente, al futuro governo olandese guidato da Wilders non mancherà, quindi, l’appoggio italiano.
I rapporti con l’Europa
L’improvvisa uscita di Rutte dalla politica olandese ha aperto un periodo di profonda incertezza per i Paesi Bassi e per l’intera Unione europea. L’ex primo ministro, infatti, non è stato un leader qualunque: molti pensavano che un giorno sarebbe stato eletto alla presidenza della Commissione o del Consiglio europeo. Difatti, è un europeista di grande esperienza, ha costruito una vasta rete di relazioni personali, talvolta alleandosi con i propri avversari e sempre guardando al governo tedesco come bussola politica. Apertura e flessibilità gli hanno permesso di governare con tutti i partiti dei Paesi Bassi: prima con l’estrema destra, poi con una grande coalizione di laburisti, poi con i liberisti e, dal 2021, con partiti di orientamento europeista e progressista.
Al contrario, Geert Wilders è da sempre un politico euroscettico e già da diversi anni promette, in caso di vittoria alle elezioni, l’uscita dei Paesi Bassi sia dall’euro sia dall’Unione europea. I Paesi Bassi sono uno dei sei Stati fondatori e la posizione geografica li mette proprio al centro dell’Unione europea, ma l’insediamento di Wilders potrebbe cambiare le carte in tavola sul ruolo, finora centrale, dell’Aia.
Mark Rutte lascia un’importante eredità anche per quanto riguarda le relazioni internazionali. Il suo successore dovrà portare avanti l’accordo siglato lo scorso gennaio con Stati Uniti e Giappone, che mira a limitare ulteriormente le esportazioni di semiconduttori verso la Cina per ragioni strategiche. La multinazionale olandese Asml, una delle più importanti aziende nel settore, è al centro del provvedimento, ma sembra riluttante a rinunciare al vasto mercato cinese.
A livello europeo, l’ex primo ministro olandese è noto per essere il leader informale dei cosiddetti paesi “frugali”, un gruppo di Stati membri – Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca – che si contraddistingue per l’attenzione al rigore fiscale e il desiderio di limitare la spesa pubblica e il debito nazionale. Rutte ha avuto il merito di assicurare un ruolo di rilievo ai Paesi Bassi all’interno della Ue, nonostante il paese rappresenti meno del 4 per cento della popolazione europea – il quinto, però, in termini di prodotto interno lordo. E negli ultimi anni ha guidato diverse battaglie, contrapponendosi in particolare al governo di Viktor Orban.
Nel 2021, in risposta all’approvazione di una legge discriminatoria nei confronti delle persone omosessuali da parte dell’Ungheria, Rutte è stato tra i 17 firmatari di una lettera indirizzata al governo ungherese, ribadendo l’impegno europeo nel combattere la discriminazione contro la comunità Lgbtqia+. Il primo ministro uscente aveva anche intimato all’Ungheria di abbandonare l’Unione europea se la legge non fosse stata abrogata. Non è stato l’unico scontro con Orban. Rutte ha svolto un ruolo fondamentale nel condizionare l’erogazione dei fondi post-pandemici al rispetto dello stato di diritto, una decisione che ha colpito direttamente il regime illiberale ungherese. È probabile che anche i rapporti con l’Ungheria di Orban cambino con l’insediamento del nuovo governo: il leader ungherese, infatti, si è congratulato con Wilders per l’ottimo risultato alle elezioni e ciò lascia presupporre che i due paesi potrebbero trovare un nuovo equilibrio.