“Il Paul Newman dei poveri” che ha vinto cinque scudetti, una Champions europea e una asiatica, e pure i Mondiali. È un po’ meditabondo, punto interrogativo silenzioso, avvolto in una nuvola di fumo bogartiano, quel Marcello Lippi che appare in Adesso vinco io, documentario fuori concorso al 41esimo Torino Film Festival. 75 primavere di cui 56 passate su un campo da calcio come giocatore e allenatore. Padre assente ma presente, dice la bella Stefania, figliola con l’occhio azzurro e il fare gentile di babbo, perché a casa chiamava sempre e voleva sapere tutto. Mentre di là, dal maschietto Davide, il riverbero del conflitto edipico è fulgido e solenne, tra lacrime e conti da procuratore. Inizia però dal periodo cinese, l’ultimo della carriera del viareggino che non può stare senza vedere le onde del mare, sei secco dei blucerchiati anni Settanta, l’Adesso vinco io diretto da Simone Herbert Paragnani e Paolo Geremei. Là dove Lippi veniva chiamato “Le Pe” e l’interprete non riusciva a tradurgli al volo i concetti profondi urlati in campo ai ragazzi dello Guangzou Evergrande, il mister dallo sguardo penetrante è rimasto nel cuore perfino dei rigidi burocrati del partito comunista cinese.
Vedi Xi Jiping che in visita al Quirinale smolla Mattarella e si ferma a dialogare con “Le Pe” in terza fila: quando torni a farci vincere un mondiale? Del resto con un padre comunista per uno che cantava Bella Ciao in pieno ’67 con la Stella Rossa di Viareggio ad ogni allenamento il destino è scritto. Prima però “Le Pe” deve passare dal via degli scudetti bianconeri. Torino seconda casa e cucina. Niente mare all’orizzonte ma il connubio con Luciano Moggi. A lui tocca la battuta cult del documentario – “Questa è la sedia dell’imputato. Quante bugie devo dire?” – da dividere con Francesco Totti che inventa un cucchiaio che sa di supercazzola: “trovava (Lippi ndr) i CAVILLI giusti nei momenti giusti”. Genio del male e sregolatezza del bene. Adesso vinco io annovera un parterre de roi gigantesco. È la Juve degli scudetti anni novanta-duemila che sfila davanti all’obiettivo di Paragnani e Geremei e poi si ritrova a cena formato campo più panchina praticamente dai tempi del processo per doping con Guariniello a fustigarli: Pessotto, Di Livio, Peruzzi, Montero, Ravanelli, Conte, Del Piero, Vialli in un doloroso collegamento Skype. Manca Baggio, che a Lippi gliela giurò, e viene pure edulcorato l’episodio in cui Bobo Vieri appende il mister alla porta dello spogliatoio perché l’aveva sostituito. Vicenda che qui si fa scontro sulfureo tra gentiluomini che alzano mani e voci in maniera paritaria.
Capita anche che agli allenamenti durissimi del mister, Torricelli&Co si passino bottiglioni di acqua minerale gocciolante. Lippi era un duro “bravo a non trasmettere le proprie emozioni” (Clint faccia di ghiaccio altro che Newman) oppure uno che “amava mandare, e farsi mandare, a cagare”, anche se poi si arrivava alla sintesi delle spiegazioni. Ad ogni modo a uno che vince i Mondiali azzeccando le mosse più disperate (i quattro attaccanti nella semifinale del 2006 Italia Germania) che gli vuoi dire? Bravo. E punto. Glielo dice nel documentario pure Zidane che mister “Le Pe” alleva in bianconero e poi ritrova a suon di testate contro il petto di Materazzi poco prima di alzare la coppa del mondo. A proposito, vinti i Mondiali, Marcello si ritira subito in camera: si accende un sigaro, mangiucchia un pezzo di torta, riguarda tutta la partita, “goduria fantastica”, poi si dimette. Benedetto viareggino. Sarà un secondo Bearzot e ancora non l’abbiamo capito. Co-produce la Rai.