Un “potentato politico imprenditoriale” che faceva ricorso anche a procedure “in famiglia” per accaparrarsi appalti fatti su misura per centinaia di migliaia di euro, finanziati anche con fondi del Pnrr. Con la complicità dei vertici di una società pubblica e di un dipendente comunale infedele, avevano messo le mani – sostiene la procura di Pavia – su sette piazzole ecologiche da progettare o riqualificare e anche su interventi in due scuole dove, secondo un ingegnere della società, l’esecuzione dei lavori era stata “una merda”. Vicende emerse in un’inchiesta della Guardia di finanza che ha puntato i riflettori – “rompendo grovigli di zone d’ombra” – sui “torbidi” e le “condotte di malaffare” all’interno di “diverse pubbliche amministrazioni” del Pavese.
La società di Ciocca e gli arresti
Al centro dello schema un giovane ingegnere, Gianluca Di Bartolo, socio dell’europarlamentare della Lega, Angelo Ciocca, nella società Civiling Lab, uno studio di progettazione di ingegneria civile, e al centro dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari lo stesso Di Bartolo, i vertici dell’Asm, municipalizzata del Comune di Pavia, e la direttora dell’Ufficio tecnico del comune di San Genesio, Nausica Donato. Il politico del Carroccio, plenipotenziario nel Pavese, non è indagato ma la Civiling Lab, della quale detiene il 42% delle quote, è il fulcro degli accertamenti e il nome del leghista è citato 22 volte nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Pasquale Villani, anche per un incontro con i vertici dell’Asm all’interno del suo ufficio per discutere “varie questioni interne” alla municipalizzata “senza che costui abbia alcun ruolo formalizzato”. Tutto ruota attorno a tre vicende che toccano direttamente il socio di Ciocca nella Civiling Lab, partecipata anche da STC, lo Studio tecnico Ciocca, società non indagata riconducibile allo stesso eurodeputato e ai suoi genitori, anche loro senza contestazioni.
La società appena nata che si “accaparra” i fondi Pnrr
La prima vicenda – che non è al centro della misura cautelare – nella quale compare la società è relativa alla progettazione di quattro nuove piazzole ecologiche – finanziata con i soldi del Pnrr – e la riqualificazione di altre tre a Bornasco, Ceranova, Lardirago Sant’Alessio con Vialone, San Martino Siccomario, San Zenone e Trivolzio. I vertici dell’Asm Pavia, Manuel Elleboro e Giuseppe Maria Chirico, secondo l’accusa, “in violazione di specifiche regole” che non permettono “discrezionalità” avevano “ripetutamente” affidato alla Civiling Lab i lavori sostanzialmente “parcellizzandoli” nonostante fossero “tutti accomunati dalla medesima natura tecnica ed operativa”. Per il procuratore Fabio Napoleone e i pm Chiara Giuiusa, Alberto Palermo e Andrea Zanoncelli, la società avrebbe quindi tratto un “ingiusto vantaggio patrimoniale” in assenza di un “procedimento di scelta” e “in violazione” della rotazione degli affidamenti. Un “accaparramento”, lo chiamano gli inquirenti, avvenuto grazie a progetti fotocopia e nonostante la società fosse “nata soltanto un mese prima”.
La scuola e l’affidamento diretto “urgente”
A giudicare dalla ricostruzione del gip Villani, più che un colpo di fortuna quegli affidamenti sono stati l’inizio di una fortuna, quantomeno per Di Bartolo. Proseguita con due vicende avvenute a San Genesio, roccaforte elettorale di Ciocca e comune in cui è stato assessore ai Lavori pubblici tra il 2001 e il 2010. La prima vede protagonisti Donato e il socio di Ciocca e riguarda i lavori nella scuola elementare per il miglioramento sismico, l’adeguamento antincendio e la creazione di nuovi locali per la didattica. I due, insieme ad altre persone ancora non identificate, nel giugno 2022, “turbavano la gara” attraverso “promesse, collusioni e altri mezzi fraudolenti”, si legge nel capo d’imputazione. In sostanza, tutto venne apparecchiato affinché rinunciassero sia la ditta che si era aggiudicata in via provvisoria i lavori – anche questi finanziati con il Pnrr – per quasi 370mila euro che la seconda classificata. “L’appalto delle opere pareva conformato – scrive il giudice – in modo da scoraggiare la partecipazione”. E infatti entrambe alla fine riunciarono. Come andò a finire? Un affidamento diretto per “motivi di urgenza” alla ditta Majorino Costruzioni di Ribera, nell’Agrigentino, per un importo superiore di 27mila euro. Nelle intercettazioni è lo stesso Di Bartolo, si legge nelle carte, a riferire “bellamente (…) di aver ‘messo lui’ la società”. Non solo, perché sempre stando alla ricostruzione dei finanzieri e della procura, Di Bartolo e i titolari della ditta Majorino avrebbero commesso una “frode” facendo risultare come “adempiute” alcune opere in realtà ancora non finite per ottenere subito il pagamento di una tranche di 80mila euro con uno “stratagemma” sul “valore dei ponteggi”.
La ditta in attesa di whitelist e l’operaio in nero
In questa vicenda Di Bartolo, Donato e “altri fiancheggiatori”, scrive il giudice, si sono mossi come una “rodata consorteria” perché preoccupati che “l’emersione di irregolarità” nei lavori e della sicurezza potesse “preludere allo svelamento di ben altre illiceità” nell’affidamento alla ditta Majorino, che al momento della scelta era tra l’altro ancora in attesa dell’iscrizione in whitelist antimafia. I lavori vennero infatti sospesi dopo un’ispezione dei carabinieri durante la quale venne trovato un lavoratore in nero. E perfino il sindaco leghista Enrico Giuseppe Tessera, estraneo all’indagine, si spese con la stampa per “ridimensionare la faccenda” facendo passare lo stop come una scelta autonoma del direttore dei lavori, pur essendo cosciente di quanto accertato dagli ispettori nel cantiere. Insomma, “mentì scientemente” ai cittadini, scrive il giudice, nel corso dell’intervista. Un colloquio al quale – secondo quanto riportato dai pm – “era stato presente (non si comprende a quale titolo) anche il già citato parlamentare europeo” Ciocca.
La procedura “porosa” e i lavori di “merda”
Quei lavori – è la ricostruzione del gip – arrivarono alla ditta Majorino grazie a una “porosa procedura imbastita” dalla responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune e i “vertici della società di progettazione” fecero di tutto per “scongiurare il pericolo che il vaso di pandora” sulla “cloaca di malaffare” attorno a quell’opera “potesse essere scoperchiato”. Ma almeno i lavori vennero fatti ad arte? Per Di Bartolo, la ditta che si vantava di aver portato lui aveva fatto almeno un lavoro “un po’ alla cazzo”. Un ingegnere della Civiling Lab, invece, definì le opere “una merda” e tacciava lo stesso socio di Ciocca di “corrività” con “quello scempio” che Di Bartolo “preferiva tollerare” per “accondiscendenza” verso i Majorino “pur avendone avvertito l’intollerabile gravità”. Tanto da arrivare a sfogarsi con la madre: “Sono nervoso perché io penso che lì dentro ci sono dei bambini, cazzo! Non è un edificio della sciura Maria di novant’anni che chi se ne fotte poi quello che succede”.
Lo “schema” replicato con l’asilo nido del paese
Lo “schema”, come lo chiama il giudice Villani, venne poi replicato anche con i lavori di affidamento per la progettazione esecutiva dell’asilo nido di San Genesio. Lo scorso gennaio viene pubblicato l’avviso di avvio della procedura negoziata, quindi un mese più tardi Donato firma una determina per comunicare la mancata aggiudicazione dell’appalto perché “inammissibili” le due offerte. Di chi erano? Una della Civiling Lab e l’altra di un ingegnere dipendente dello Studio Tecnico Ciocca. Ma la gara contiene un “errore” tecnico che fa saltare in aria la procedura “in famiglia”. A quel punto, nello stesso giorno, la responsabile dell’Ufficio tecnico dispone l’affidamento diretto alla società Ipm Project per 132mila euro più 13.500 euro per spese forfettarie. Ma tutto sembra apparecchiato: secondo gli inquirenti, infatti, esisteva un “accordo fraudolento” tra l’amministratore dell’affidataria e Di Bartolo. I due “convennero che l’incarico di progettazione sarebbe stato esperito in concreto” dalla Civiling Lab, alla quale Ipm avrebbe poi girato 140mila euro dei lavori tenendo per sé la “commessa”.
Il “potentato politico imprenditoriale”
Una vera e propria “interposizione fittizia”, secondo il giudice. Che sembra confermata da un’intercettazione del socio di Ciocca, che si lamenta perché l’Ipm vuole trattenere una quota più grossa: “Ha preso un lavoro, grosso, grosso, i patti erano, tu lo prendi, tu lo firmi, ti tieni la tua parte, il resto lo devi pagare a noi che ti facciamo il lavoro”. Insomma, conclude il giudice, allo stato appare “riscontrata” come la “smaccata collusione” tra Donato e il “potentato politico imprenditoriale in cui era inserito Di Bartolo” avesse “pesantemente condizionato la gara”. E Ciocca? Non indagato, il socio di Di Bartolo ha spiegato – come riporta il Corriere della Sera – che tra lui e l’ingegnere finito ai domiciliari non c’è “un reale rapporto societario e professionale”. Di Bartolo lavorava in autonomia, insomma. Eppure sono soci paritari della Srl e tutto è avvenuto nei territori più cari all’eurodeputato leghista.