di Riccardo Bellardini

Sono tempi duri, instabili, tempi di guerra. Perché la guerra non è solo lì dove in effetti si combatte. Nella Striscia di Gaza insanguinata, divenuta un cimitero di bambini, e nell’Ucraina martoriata dal conflitto partito ormai più di un anno fa. Per non parlare delle altre guerre attive nel mondo, che non avranno mai la stessa rilevanza mediatica di quelle citate sopra, a meno che per qualche congiunzione astrale improbabile, non vengano a disturbare il nostro mondo che vuol continuare ad illudersi d’essere tranquillo, quando invece, visto lo sconquasso internazionale senza precedenti, tranquilli non si può stare proprio per nulla.

La guerra è pure nelle opinioni, tra chi le esprime, tra chi scende in campo, tra chi si schiera. Perché schierarsi è importante. Sarà che fu Dante, il sommo poeta, a collocare gli ignavi, coloro che non presero mai posizione in vita, nell’Antinferno, poiché quest’ultimi, mai schieratisi né per il bene né per il male, venivano rifiutati dall’Inferno vero e proprio, così come dal Paradiso.

Sarà per quest’ansia di non rimanere inerti, per quest’immedesimazione nella condanna ultraterrena che portava quei disgraziati rimasti sempre fermi, a correre dietro una bandiera senza simboli, punti da vespe e mosconi, sarà per il timore di macchiarsi di una tale infamia, che si prende parte in maniera forte, quasi violenta, che ci si vanta di farlo, rispetto ad altri che non lo fanno. Ci si sente un po’ come Dante, pronti a rinfacciare a chi tentenna il marchio della viltà.

Si può anche essere indecisi nella vita. Si può essere dubbiosi. Ci si arriva a parteggiare, ad aderire ad un orientamento, magari con più tempo. Ma pare che neanche questo, nella società di oggi sia ammissibile.

Gli urlatori hanno preso il sopravvento. Nei talk show e nei dibattiti pubblici non esistono più i confronti, esistono le guerre. Le guerre di opinione. Abbiate pazienza, come fa un cittadino comune a formarsi un’idea propria se in una trasmissione si fa la gara a chi grida di più? Sbraitare, urlare. Squalificare l’altro. Dimostrare di possedere la ragione. Perché questo è l’obiettivo principale: aver ragione. Vincere.
E alla fine, quel che si capisce è poco. Siate clementi con chi, ad un certo punto, sembra perderla la voglia di schierarsi, frastornato da un caos di voci che si accavallano, che si mischiano, fin quasi a diventare un fastidioso acufene.

La verità? Ma cos’è la verità? Lo chiese Ponzio Pilato a Gesù Cristo, ma costui non rispose.

Partiti da Dante, torniamo a riallacciarci al tema religioso. Argomenti alti, sacri, come paiono alti, sacri questi dibattiti a cui assistiamo giornalmente. I due conflitti armati che hanno acceso l’opinione pubblica come non accadeva da anni, sul fronte est-europeo e su quello medio-orientale, non hanno fatto che accentuare la modalità scontrosa degli scambi d’idee, che perdono la valenza di arricchimento di vedute, di ampliamento di conoscenza. Forse alla pesantezza di questi tempi, sarebbe preferibile una leggerezza, che non significa superficialità.

Leggerezza equivale all’ammissione di non poter essere detentori della verità. Così ci si sentirebbe meno pesanti. Così i confronti tornerebbero ad essere veramente confronti. Io la penso in un modo, tu in un altro. Magari tu sbagli e io provo a correggerti, e tu fai lo stesso con me. Ma non posso partire da un presupposto irrealistico, per cui la mia opinione sarebbe totalmente, in tutto e per tutto inattaccabile.

A quel punto se davanti a me c’è chi mi fa notare anche una pur minima incompletezza, con un ragionamento ben formulato, rischio di travolgerlo con smania rabbiosa, in preda al mio ego, che prende il sopravvento. Assistiamo a scene orribili. A massacri indicibili. Proviamo ad abbassare i toni. Almeno noi che possiamo, dato che i potenti, sembrano far di tutto per non arrivare alla pace.

Confrontiamoci, discutiamo pure, ma senza sentirci depositari di verità assolute.
Proviamoci. Non è impossibile.

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