Amnesty International ha reso nota una sua nuova indagine sulle violazioni delle leggi di guerra da parte di Israele, relativa a due attacchi che hanno causato 46 vittime civili tra cui 20 bambini. Gli attacchi, avvenuti il 19 e il 20 ottobre, hanno colpito un edificio di una chiesa di Gaza City dove avevano trovato riparo centinaia di sfollati e un’abitazione nel campo rifugiati di al-Nuseirat, al centro della Striscia di Gaza.
Il 19 ottobre un attacco aereo israeliano ha distrutto un edificio del complesso della chiesa greco-ortodossa di san Porfirio, al centro di Gaza City, dove si erano rifugiati circa 450 sfollati appartenenti alla piccola comunità cristiana locale. L’attacco ha ucciso 18 civili e ne ha feriti almeno altri 12. Questa è la testimonianza di Ramez al-Sury, che nell’attacco ha perso tre figli e altri dieci familiari:
“Quella sera il mio cuore è morto insieme ai miei figli. Sono stati uccisi tutti: Majid di 11 anni, Julie di 12 anni e Suhail di 14 anni. Non mi è rimasto niente. Avrei dovuto morire coi miei figli. Li avevo lasciati appena due minuti prima, perché mia sorella mi aveva chiesto di scendere al piano terra per assistere mio padre, che è allettato da quando ha avuto un infarto. I miei figli sono rimasti nella loro stanza coi miei cugini, le loro mogli e i loro figli. In quel momento è arrivato l’attacco e li ha uccisi tutti”.
“Avevamo lasciato le nostre case ed eravamo andati alla chiesa perché pensavamo che così saremmo stati protetti. La chiesa era piena di persone pacifiche. Non c’è alcun luogo sicuro a Gaza in questa guerra. Ci sono bombardamenti ovunque, giorno e notte. Ogni giorno, muoiono altri bambini. Preghiamo per la pace, ma i nostri cuori sono a pezzi”.
Il 20 ottobre l’esercito israeliano ha diffuso sulle piattaforme social un video con riprese fatte da un drone, esaminato poi da Amnesty International, in cui si vede un attacco contro l’edificio appartenente al complesso della chiesa. Vari organi di stampa hanno riportato una dichiarazione dell’esercito israeliano secondo la quale “i jet delle Idf [le Forze di difesa israeliane] hanno colpito il comando e il centro di controllo di un terrorista di Hamas coinvolto nel lancio di razzi e mortai contro Israele”, ammettendo che “un muro della chiesa è stato danneggiato” e che “si sta riesaminando l’episodio”.
Il video è stato successivamente rimosso e né l’esercito né le autorità israeliane hanno fornito informazioni a sostegno della dichiarazione secondo la quale l’edificio della chiesa era un “comando e centro di controllo” di Hamas. Non sono state fornite informazioni neanche sul riesame dell’episodio.
Il Crisis Evidence Lab di Amnesty International ha esaminato, verificato e geolocalizzato video e immagini pubblicate sulle piattaforme social subito dopo l’attacco e ha analizzato immagini satellitari riferite a prima e dopo l’attacco, riscontrando conferme sulla distruzione completa di un edificio e su quella parziale di un altro edificio appartenenti alla chiesa. Gli esperti di armi di Amnesty International hanno a loro volta esaminato il video dell’esercito israeliano e altre immagini per concludere che una potente munizione aerea aveva direttamente colpito l’edificio dove si erano rifugiate le persone poi morte e ferite.
I responsabili del sito religioso hanno dichiarato che, prima dell’attacco, vi avevano trovato riparo centinaia di sfollati, dunque la loro presenza avrebbe dovuto essere nota all’esercito israeliano. La decisione di quest’ultimo di portare a termine l’attacco contro un noto edificio religioso che ospitava civili sfollati è dunque equiparabile a un crimine di guerra.
Il 20 ottobre un attacco israeliano ha colpito la casa della famiglia al-Aydi nel campo rifugiati di al-Nuseirat, al centro della Striscia di Gaza, uccidendo 28 civili, tra i quali 12 bambini. Il campo era nella zona dove le autorità israeliane avevano ordinato alla popolazione del nord della Striscia di Gaza di trasferirsi. Rami al-Aydi, sua moglie Ranin e i loro tre figli – Ghina di dieci anni, Maya di otto anni e Iyad di sei anni – sono stati uccisi, così come Zeina Abu Shehada e i suoi due figli – Amir al-Aydi di quattro anni e Rakan al-Aydi di sei anni – e le due sorelle e la madre di Zeina. Queste sono le parole di Hani al-Aydi, sopravvissuta all’attacco:
“Eravamo in casa, era piena di gente, di bambini e parenti. Improvvisamente, senza alcun preavviso, è crollato tutto. Sono morti tutti i miei fratelli, i miei nipoti, le mie nipoti. È morta mia madre, sono morte le mie sorelle, la nostra casa non c’è più. Non è restato niente, ora siamo sfollati. Che altro di peggio potrà succedere?”
Nell’attacco, Hazem Abu Shehada ha perso la moglie e tre figlie. Erano arrivati al campo rifugiati di al-Nuseirat da quello vicino di al-Maghazi, in cerca di riparo:
“Avrò sensi di colpa per il resto della mia vita. Ero stato io a proporre di spostarci provvisoriamente ad al-Nuseirat. Vorrei non averlo mai fatto, vorrei che l’orologio tornasse indietro, vorrei che fossimo morti tutti quanti invece di aver perso la mia famiglia”.
L’attacco ha anche causato gravi danni e la quasi totale distruzione delle case dei vicini, le famiglie al-Ashram e Abu Zarqa. Nell’abitazione degli Abu Zarqa sono morte sei persone, tra le quali quattro bambini: le sorelle Sondos e Areej, di 12 e 11 anni, e i loro cugini Yara e Khamis Abu Tahoum, di 10 e 12 anni.
Le ricerche di Amnesty International hanno evidenziato che tutte le persone presenti nell’abitazione della famiglia al-Aydi e nelle altre due erano civili. Due membri della famiglia al-Aydi avevano il permesso di lavorare in Israele, che viene concesso dopo rigorosi controlli di sicurezza su chi chiede il permesso e sulla sua famiglia allargata.
Le immagini satellitari del luogo dell’attacco alle 11.19 del 20 ottobre e alle 8.22 del 21 ottobre hanno confermato le distruzioni, compatibili con le conseguenze di un attacco aereo. L’area e molte delle strutture circostanti appaiono significativamente danneggiate.