A scuola per imparare a diventare Erri. Lui non parla mai, “A Schiovere” (Feltrinelli) presentato alla Feltrinelli, il salotto di Napoli che, fresco di ristrutturazione, brilla di nuova vita culturale. Erri è il loro testimone. Quando andava a scuola la lingua italiana arrivava a farsi largo, c’era tanto analfabetismo. La scuola aveva il compito di educare le nuove generazioni e lo sapeva fare. Fra i banchi di scuola, inchiostro e calamaio, si è piantato in Erri il germoglio della scrittura. Negli anni è diventata sua la maniera con cui gli vengono le storie, sbucate alla rinfusa da un guizzo di ricordo. Eccoli.
Erri e l’età: Sono in età sperimentale. La vecchiaia degli altri non mi riguarda. Tengo la mia mente in esercizio, gioco a scacchi, faccio i solitari ( che mi si addice alla mia indole), mastico lingue, dal russo all’ebraico, mi metto a sfrocoliare la memoria. Sfoglio l’annata 1968, una data a caso, e compongo il puzzle dei ricordi.
Voce da abbinare All’intrasatto. Il sistema nervoso napoletano è sollecitato da intrasatti, accadimenti improvvisi.
Erri e il futuro: “Come mi immagino il futuro senza di me? Ho attraversato un bosco in salita, arrivo in cima, c’è una radura. Da li’ volgo lo sguardo dietro di me, lontano e vedo una boscaglia fitta, un groviglio. Percorrendolo, le ansie sono cadute una ad una, come foglie secche. Adesso, ne sono fuori. E provo sollievo.
Voce da abbinare: Sfelenzo. Usato da mia madre un’incitazione a fare meglio.
Erri e le paure: “Non si deve custodire la paura come un bene rifugio. Bisogna scrollarsene di dosso”.
Voce da abbinare: Pulcinella spaventato dalle maruzze. Dalle lumache che all’improvviso tirano fuori le corna. Timori infondati.
Erri e Napoli: “Ha proprietà geografica di essere un porto. Ha una naturale vocazione ad accogliere gente. Ci sono arrivati tutti: pellegrini, monaci, greci, aragonesi, francesi, spagnoli, viaggiatori da gran tour. Nel mio sangue c’è traccia della loro intrusione. Se mi fanno le analisi mi devono dire quanti popoli ci sono dentro, e se c’è una minoranza mi farei una trasfusione. Voce da abbinare: Tiemp’. Il tempo in italiano é misurabile con orologi… O Tiemp no, va e viene, toglie e mette e non si fa contare. Il napoletano ha solo un modo per afferrarlo, con il guizzo di una sillaba sola: mo’.
E poi ci sono gli sbafantielli, i vanesi, esibizionisti, azzimati: Generazione post-narcisismo. Lontani anni luce da chi viene da tempeste ideologiche.