“Secondo i dati raccolti dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza sono 23mila i minori in comunità (tra i 14 e i 17 anni) nel triennio 2018-2020. Troppi. Gli adolescenti hanno il diritto di vivere in famiglia. Io a 14 anni ho dovuto cercare da sola le famiglie che mi aprissero le porte, questi ragazzi invece paradossalmente sono già sotto la tutela dello Stato e dovrebbero avere una lista di attesa ad aspettarli, ma così non è. Qualcosa non funziona”. Sono parole di Karin Falconi che, con il romanzo Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma. Cronaca di un affido sine die (Edizioni Lavoro in collaborazione con Avagliano editore, 144 pagg, 16 euro) affronta il delicato tema dell’affido familiare con la sensibilità, l’ironia e la cognizione di chi ha vissuto direttamente l’esperienza dell’affidamento e ha deciso poi di occuparsene per lavoro. L’autrice, infatti, dopo essere cresciuta lontano dalla famiglia di origine, ha fondato M’aMa-Dalla Parte dei Bambini (nota anche come LeMammeMatte), un’associazione che dal 2017 garantisce i diritti dei bambini (e degli adolescenti) in attesa di affidamento. E come la protagonista del romanzo, è a sua volta genitore affidatario.
La voce narrante dell’opera è proprio quella di una donna che, dopo essersi occupata per anni attraverso un’organizzazione di trovare una famiglia ai bambini che i servizi sociali definiscono “incollocabili”, decide di intraprendere in prima persona il complesso ed emozionante cammino dell’affido familiare, raccontandone sia le gioie, sia le difficoltà. Il libro nasce dall’urgenza di raccontare le tante storie incontrate dall’autrice negli anni e sensibilizzare i lettori sul tema dell’affido familiare, soprattutto in età adolescenziale: “Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma non è solo un libro”, ha raccontato Karin Falconi. “Ora si è trasformato in una vera e propria campagna itinerante di sensibilizzazione all’affido portata avanti da noi MammeMatte insieme a tante testimonianze di adolescenti coraggiosi”.

Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma sarà presentato martedì 5 dicembre alle ore 16,30 a Roma (Sala Consiliare del Municipio Roma XII)
Qui di seguito un estratto del libro in esclusiva per ilfattoquotidiano.it:

Ottobre #Nevrotic #Adolescenza

Nevrotic ha pianto: seduta alla sua scrivania, con il capo riverso sul tavolo, le lacrime a fiumi hanno inondato la montagna di fogli sparsi qua e là tra matite mordicchiate, pennarelli senza tappo, una gomma da masticare già masticata e spiaccicata su un tovagliolino unto di pomodoro. Con i capelli scompigliati, lunghi sulle spalle, ha balbettato singhiozzando che la sgridavo continuamente e che non ero felice che fosse con noi. Che ce l’avevo sempre con lei, rimproveravo solo lei, non le credevo mai. E mentre, senza farmene accorgere, sono riuscita a cestinare al volo gomma e tovagliolino, ho pensato: «Che io la sgridi continuamente è vero, ma che io non sia felice che lei stia con noi no». Nevrotic è un continuo «lo faccio dopo», «che c’entro io?», «stai dicendo a me?». Nevrotic è un centrifugato di «no» e di silenzi eloquenti, di sguardi sfidanti e di alzate di spalle. Nevrotic è una talebana virtuosa, una nonviolenta stridula, un’aspirante babysitter che giocherebbe l’intera giornata a palla con le sue sorelline, se solo loro si prestassero a farle da palla. Nevrotic ha sedici anni e faccio fatica a ricordare come sia stata io alla sua età, ma rammento distintamente la rabbia di mia madre in risposta alle mie provocazioni (esattamente la stessa che io provo ora). Nevrotic per giustificare quello che ha fatto (e che non avrebbe dovuto fare) o quello che non ha fatto (e che avrebbe dovuto fare) inventa delle cavolate inaudite, giurando e spergiurando che si tratta della «vera verissima verità». Davanti alla mia espressione basita con occhi e bocca spalancati e sopracciglia inarcate, Nevrotic non si perde d’animo e mette in atto ogni volta le stesse strategie di cui oggi conosco a memoria finanche la sequenza: a) alza le spalle e ti guarda con aria di sfida; b) non ottenendo risultati, passa alla seduzione melensa, lanciandomi uno sguardo stracolmo di dolcezza accompagnato da un tentativo goffo di abbraccio al quale, se rispondo indietreggiando, segue immediatamente il punto c; c) pianto convulso inframezzato da frasi quali «non mi credi mai», «tu ce l’hai con me»; d) strategia finale (per i giorni successivi): continuo cambiamento della versione dei fatti senza mai ammettere quella reale. La mia bocca si socchiude in una smorfia di rassegnazione e le sopracciglia scivolano nella posizione originaria, sconfitte.

Ottobre #Affido #Mamma

Accogliere in affido significa diventare mamma di quel bambino, ma non necessariamente mamma per quel bambino. A sedici anni una ragazza non cerca più una mamma e tu non puoi pretendere che ti riconosca come tale o che provi per te sentimenti simili a quelli che proverebbe se tu lo fossi. Non è però una situazione paritetica e per te le cose stanno in tutt’altro modo: dal momento in cui il giudice, o chi per lui, ti parla per la prima volta di lei, la consideri già un po’ tua figlia. Sebbene tu ci sia e faccia del tuo meglio per esserci, sei comunque arrivata troppo tardi nella vita della tua grande piccola (te ne devi pur fare una ragione). Nevrotic ha imparato a cavarsela da sola e, anche quando cerca attenzioni e carezze, vuole solo quelle e null’altro. Si è stancata di credere nella mamma, di aspettarla, di desiderarla. Lei ha già Una Mamma, nella sua presenza-assenza la mamma c’è: nel suo cuore, nei suoi pensieri è a suo modo presente e lo rimarrà sempre, insostituibile. Anche quando mi ripete la lezione per il giorno dopo o si lancia sul lettone al grido di «tuffo a bomba»; anche quando, nonostante i suoi sedici anni, pretende che le legga una favola per aiutarla ad addormentarsi, non sta chiedendo di essere figlia, ma solo di essere vista come una figlia. Forse è qui, proprio qui, che alberga quella famosa «differenza di appartenenza» tra LagnaContinua e le altre due bimbe. E come mio marito e io, all’inizio della nostra storia, ci facemmo la promessa di cominciare un cammino insieme “senza aspettative”, allo stesso modo adesso abbiamo iniziato un percorso con le nostre bimbe. Credo che l’affido, da parte di noi adulti, debba essere esattamente così: un cammino senza aspettative.

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