La proposta delle opposizioni soppressa e rimpiazzata con una delega al governo che come minimo rinvia la questione di almeno altri sei mesi. La resistenza del centrosinistra in commissione Lavoro alla Camera alla fine non l’ha spuntata: la maggioranza ha approvato l’emendamento che cancella la proposta unitaria delle minoranze (con fissazione a 9 euro l’ora) e la sostituisce con una delega al governo da esercitare entro sei mesi. Tra gli obiettivi del testo del centrodestra non c’è una cifra minima da regolare per legge ma “garantire l’attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice a una retribuzione proporzionata e sufficiente, come sancito dall’articolo 36 della Costituzione”.
I gruppi di Pd, M5s e Verdi-Sinistra in particolare sono furibondi. Arturo Scotto, capogruppo democratico in commissione, poco prima del voto ha annunciato che le opposizioni hanno abbandonato i lavori per protesta: “Tutte le opposizioni hanno abbandonato i lavori. Hanno compresso i tempi parlamentari uccidendo così il salario minimo con una delega al governo. Non ci rendiamo complici di questo scempio della democrazia parlamentare”. Valentina Barzotti e Carmela Auriemma (5 Stelle) accusano il presidente della commissione Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia) di aver applicato “il regolamento a suo uso e consumo, impedendo ad alcuni colleghi di intervenire e limitando il minutaggio delle dichiarazioni di voto malgrado quanto stabilito nei giorni scorsi in ufficio di presidenza” e “non ha permesso a tutti gli iscritti a parlare in dichiarazione di voto di poterlo fare”. “La sostituzione della nostra proposta di legge per l’introduzione del salario minimo legale con una delega al Governo – aggiunge Barzotti – crea un precedente pericolosissimo, svilendo il ruolo delle Camere. Si devono vergognare”.
Il voto mette fine a una settimana di ostruzionismo del centrosinistra e dà il via al testo che delega il governo a legiferare entro 6 mesi attraverso una serie di decreti legislativi dovrebbe approdare in Aula nei prossimi giorni. Anche nell’ultima giornata di lavori in commissione le minoranze – che come noto sul punto hanno trovato l’unità su un’unica proposta, ad eccezione dei renziani – si sono impegnate a intervenire a raffica fino all’ultimo per provare a far saltare il voto. A dare manforte al Pd era arrivata anche la segretaria Elly Schlein che ha parlato dell’”antipasto del premierato” e di “un giorno buio per la democrazia”. Da parte sua il presidente della commissione Rizzetto si era detto “disposto a stare qui fino a notte” (ma non è stato necessario). “Anche noi ci riserviamo di intervenire in Aula – avverte – e di descrivere minuziosamente alcune vicende che hanno coinvolto alcuni deputati della commissione lavoro”.
La delega della maggioranza al governo prevede l’adozione di una serie di decreti legislativi al fine di “garantire l’attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice a una retribuzione proporzionata e sufficiente, come sancito dall’articolo 36 della Costituzione”. Si punta, dunque, ad “assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi”. Un obiettivo da raggiungere anche “rafforzando la contrattazione collettiva” e prendendo a riferimento i “trattamenti economici complessivi minimi dei contratti collettivi nazionali maggiormente applicati”. La proposta del centrodestra prevede, anche, tra i principi quello di “favorire lo sviluppo progressivo della contrattazione di secondo livello” anche “per fare fronte alle diversificate necessità correlate all’incremento del costo della vita e alle differenze dei costi su base territoriale”. Un punto sul quale l’opposizione va all’attacco parlando di una riproposizione delle gabbie salariali. Intanto, Unione popolare insieme ad altre sigle politiche e della società civile hanno depositato 70mila firme raccolte a sostegno di una legge di iniziativa popolare per un salario minimo di 10 euro.
Nella foto in alto | Da sinistra Scotto (Pd), Rizzetto (Fdi) e Barzotti (M5s)
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Il salario minimo è dignità: il governo ci ripensi e lo introduca