“A Torino si sta affrontando una vera e propria guerra del gianduiotto. In gioco c’è il futuro del cioccolato e l’idea stessa di made in Italy”. Così il maître chocolatier e presidente del Comitato del Gianduiotto Guido Castagna, che da anni con il suo “Giuinott” (giovanotto) difende e porta nel mondo questa specialità piemontese, commenta la disputa internazionale in atto tra il Piemonte e la multinazionale Lindt. A leggere le dichiarazioni di tutte le parti, sembra che la Lindt stia difendendo il cioccolato di massa, facendo guerra al cioccolato d’eccellenza piemontese. Ma cosa sta succedendo tra Torino e la Svizzera? E l’Italia come sta reagendo?
Il 17 marzo 2022, il “Comitato Gianduiotto Torino”, un’iniziativa promossa da aziende locali italiane, ottenuta l’approvazione dalla Regione Piemonte, ha presentato al Ministero dell’Agricoltura il Protocollo per il disciplinare del Gianduiotto di Torino IGP. Dopo mesi di colpevole silenzio da parte del ministero che non ha dato risposta, è scoppiata la polemica perché la multinazionale svizzera Lindt, con un fatturato di 5 miliardi, si è opposta, poiché nel 1997 l’azienda svizzera ha acquisito il brand torinese Caffarel, tra i primi produttori del famoso cioccolatino torinese dal 1865. La multinazionale svizzera, dopo le polemiche del 2021 per licenziamenti e trasferimenti a Varese della produzione della Caffarel, sebbene da sempre informata dal Comitato, solo ora interviene e chiede di introdurre nella ricetta latte in polvere (10%) e contesta la produzione solo piemontese (Caffarel di Lindt ora produce anche a Varese in Lombardia). Alla base di questa valutazione c’è una legittima volontà di razionalizzare i costi di produzione, di dipendenti e delle materie prime: la nocciola piemontese dei gianduiotti è ora un prodotto caro, conteso da tutto il mondo.
Un confronto tra Davide e Golia sul prodotto e la difesa del territorio. Non si tratta però solo di questioni di palato fine, ma di storia, famiglia e futuro. La storia recente dimostra chiaramente che difendere la qualità del prodotto promuove il Made in Italy e l’intera filiera produttiva. Un esempio è il successo del cioccolato di Modica (Sicilia), portato avanti da Nino Scivoletto, direttore del Consorzio a Tutela del Cioccolato Modica IGP: in 5 anni, mantenendo l’eccellenza qualitativa, la produzione è passata da 350 mila a 5 milioni di tavolette, con un aumento degli addetti da 300 a oltre 3000.
Per capire l’importanza di Torino e del gianduiotto e quindi della guerra in corso è utile fare un passo indietro. Il cioccolato giunge in Italia proprio attraverso la capitale sabauda nel 1560, quando Emanuele Filiberto di Savoia, per celebrare il trasferimento della capitale ducale da Chambéry a Torino, offrì alla città una tazza di cioccolata calda. Da quel momento, il cioccolato divenne una prelibatezza artigianale in tutta Italia, dando origine ai maestri cioccolatieri, abili artigiani che, con creatività, elaboravano nuove ricette e forme per diffondere l’arte del cioccolato nel territorio.
A Torino, nel XVIII secolo, nacque il Bicerin, una bevanda ancora richiesta oggi, composta da cacao, caffè e crema di latte. Questo segnò l’inizio dell’apprezzamento generale per il cioccolato, aprendo la strada a nuove sperimentazioni. Unendo tradizione e innovazione, a Torino si ebbe la svolta nella storia del cioccolato con l’invenzione dei cioccolatini: la semplice solidificazione del cioccolato diede vita a uno dei simboli della tradizione italiana. Nel 1865 nacque il Gianduiotto, il cioccolatino simbolo di Torino. L’ingrediente magico era la nocciola delle Langhe, una specialità del Piemonte, rendendo la ricetta originale del Gianduiotto un’esclusiva della città piemontese. Questo cioccolatino diventò un’icona, unendo la maestria artigianale alle eccellenze locali e sottolineando la posizione di Torino come cuore pulsante della tradizione cioccolatiera italiana.
Complice un proverbiale low profile torinese, a tutta questa storia non corrisponde un marchio forte, e il gianduiotto è diventato una prelibatezza dall’immagine un po’ vecchia, stanca e non valorizzata. Per questo, le aziende locali hanno avuto l’idea di rilanciare il prodotto, proponendo un protocollo IGP inclusivo che mettesse assieme 200 anni di prodotto, ricette e tecniche diverse, basato su tre soli ingredienti comuni: nocciola, cacao e zucchero.
Guido Castagna, presidente del Comitato del Gianduiotto, da noi interpellato sul rischio che il protocollo IGP comporti un aumento dei prezzi e quindi di essere un’operazione elitaria, risponde così: “Nel mondo si delinea chiaramente una volontà e un’urgenza di ripensare all’alimentazione con contenuti e calorie controllati. Cibi sempre più genuini e salubri, realizzati con prodotti di qualità. Meno ma meglio è la chiave del futuro dell’alimentazione e del Made in Italy. È una mia idea e approccio personale, ma il gianduiotto non è un prodotto primario come il latte fresco. Di cioccolato non mi devo abbuffare, ma lo devo considerare una coccola allo spirito, un lusso accessibile. Non è forse meglio con 5 euro mangiare 10 gianduiotti di qualità piuttosto che 20 mediocri?”
Il Comitato ha ottenuto il sostegno degli enti locali, e a breve anche il Ministero dovrebbe dare il proprio consenso, al quale seguirà l’iter in Europa. Castagna si dice ottimista anche perché spiega: “Il protocollo gioca a favore di tutte le realtà imprenditoriali torinesi e del Piemonte in generale. È pensato per essere una potente leva di marketing territoriale: chiunque rispetti le regole potrà fregiarsi di questa denominazione, che non è un marchio volto a difendere una specifica azienda o un gruppo di aziende, ma una ricetta che ci unisce tutti per premiare la qualità del prodotto e del nostro territorio. Chi non si adeguerà al disciplinare potrà continuare a usare la denominazione gianduiotto, perché è una parola antica che non può essere brevettata o trasformata in marchio. Semplicemente ci saranno gianduiotti di prima scelta, qualità eccelsa e prodotti di massa. Paradossalmente questo disciplinare darà una cornice in cui sarà più facile ripensare, studiare e portare il prodotto, sempre nel pieno rispetto della storia e del consumatore”. La Lindt d’altro canto, dopo l’eco mediatica, si è resa disponibile al confronto, per ora attraverso gli avvocati. Di certo, la guerra internazionale del cioccolato è ancora aperta e lunga.