Non sappiamo se davvero chi beve birra campa cent’anni, come recitava un vecchio slogan pubblicitario – con l’alcol non si scherza, ma all’epoca si era spesso politicamente scorretti -, ma di sicuro la vendita di questa bevanda, tra le più diffuse e antiche del mondo, fa bene alle casse del Twente, quarto nel campionato olandese. Secondo quanto riportato da Voetbal International, il club di Enschede ha chiuso il bilancio 2022-2023 in utile grazie ai proventi del commercio della birra: 10,5 milioni di euro lordi, al netto 6,5. Una notiziona, anche perché le squadre della Eredivisie condividono con quelle portoghesi il primato in Europa nei ricavi prodotti dalla cessione dei giocatori. Il Twente, che nel 2010 vinse il titolo nazionale e appena cinque anni fa retrocesse dopo una stagione tormentata dai problemi finanziari, ha trovato, e indicato, una nuova fonte di guadagni: le vie del business nel calcio, si sa, sono infinite.
Questo inedito filone di incassi, immaginiamo, farà sfregare le mani non solo ai dirigenti del club di Enschede, ma anche ai boss del calcio europeo, che da tempo sbandierano tra gli sponsor marchi internazionali di birra. Di fronte al denaro va bene tutto, dalla vendita di alcol alle agenzie di scommesse, salvo poi fare i moralisti e fingere di scandalizzarsi quando si scopre che qualche giocatore ammazza la noia con le “puntate”, oppure quando qualche talento illustre viene ricoverato in clinica con il fegato a pezzi per disintossicarsi dopo anni di sbronze.
Per andare avanti, soprattutto negli stadi e nelle realtà del Nord Europa, si vende birra a mani basse: dai fiumi di luppolo a quelli del denaro il passaggio è breve. La chiamano, in Inghilterra, la cultura del fish and chips: beer è sottinteso. Il giorno della finale europea Inghilterra-Italia a Wembley, l’11 luglio 2021, percorrere il chilometro di strada dalla stazione della metropolitana allo stadio londinese fu come passeggiare sulle acque: il fondo, già da metà mattinata, un tappeto appiccicoso di luppolo. Prima della partita, ci fu l’assalto agli ingressi delle tribune principali: dopo otto ore di birra a fiumi, si scatenò l’orda hooligans. Successe il finimondo nel settore riservato alle famiglie dei giocatori di casa. Qualcuno salutò Rolex e gioielli. Eravamo ancora in era-Covid, ma in Gran Bretagna la gestione era stata, come dire, allegrotta.
Il binomio calcio-birra è da sempre uno dei piatti forti della cultura calcistica nordica. Fa colore, per chi si accontenta di poco. Il rendiconto economico del Twente ci fa capire però che quest’accoppiata può rendere euforici anche i bilanci. Dove non arriva il mercato dei giocatori, può arrivare quello del luppolo. E’ il cosiddetto piano B. Il piano birra: se poi contribuirà a diffondere ulteriormente la cultura dei fegati spappolati, chissenefrega. Prossima puntata il business delle cliniche di recupero?
Nella foto, tifosi olandesi allo stadio di Enschede