L’estrema gravità dei fatti” ha spinto la Presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno a costituirsi parte civile nel processo nei confronti dei presunti scafisti del naufragio di Cutro, nel quale morirono almeno 94 persone. Una mossa dovuta, anche per la portata dell’evento che sollevò di nuovo l’attenzione sulle stragi di innocenti nel Mediterraneo, ma che segna un nuovo punto di discontinuità con la postura assunta dall’esecutivo su altri casi altrettanto gravi. A farlo notare è Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, ucciso il 22 febbraio 2021 insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista del Programma alimentare mondiale, Mustapha Milambo, in un’imboscata. “La motivazione della scelta è la gravità dell’evento – dichiara a ilfattoquotidiano.it – Condivisibile, ma mi chiedo ‘perché per mio figlio no?‘. L’uccisione di un ambasciatore, che in quel momento rappresentava lo Stato italiano insieme a un carabiniere scelto, non è un evento altrettanto grave?”. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto di poter rivolgere la stessa domanda al Ministero degli Esteri, ma al momento in cui si scrive non ha ancora ricevuto alcuna risposta.

Nell’annuncio del governo si legge che “il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha dato disposizioni all’Avvocatura generale dello Stato affinché si costituisca come parte civile, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’interno, nel procedimento penale conseguente al naufragio avvenuto il 26 febbraio 2023 a poca distanza della costa di Cutro. La decisione è stata presa in considerazione della estrema gravità dei fatti, che hanno visto la morte di almeno 94 migranti e un elevato numero di dispersi. Agli imputati, in concorso tra loro, sono contestati i delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio colposo e morte come conseguenza del delitto di favoreggiamento”.

L’annuncio ufficiale da parte del governo Meloni ha immediatamente sollevato domande da parte di Salvatore Attanasio: “Perché un triplice omicidio di tal peso non è stato ritenuto degno di avere il governo come parte civile? Lo Stato ha il dovere di difendere i suoi cittadini, come prescrive la Costituzione. Invece, ancora una volta il governo mostra i muscoli verso chi è debole, esattamente come ha fatto in Congo con i cinque disgraziati condannati nel processo di Kinshasa, forte con i deboli e debole con i forti. Il fatto che il governo usi due pesi e due misure mette a nudo la sua incoerenza”.

Ricordiamo che la vicenda Attanasio ha visto un primo processo celebrato in Congo la scorsa primavera, con sei imputati (di cui uno tuttora latitante) condannati all’ergastolo come esecutori materiali dell’assalto al convoglio che costò la vita a Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo. In questo procedimento, il governo italiano si era costituito parte civile. Nel processo in corso in Italia nei confronti di due funzionari del Pam accusati di omicidio colposo per aver falsificato i documenti di viaggio, nonostante le molte richieste da parte di familiari e associazioni, la Farnesina non ha voluto ripetere la stessa scelta. Un fatto che appare incomprensibile agli occhi dei familiari. “A Cutro – prosegue Attanasio –, per quanto la vicenda sia gravissima, fra le tante persone che hanno perso la vita o che sono ancora disperse non c’era nemmeno un cittadino italiano. Eppure il governo annuncia la propria presenza al processo. Invece per due servitori dello Stato, fra cui un ambasciatore, no”.

Si terrà proprio giovedì a Roma la quinta udienza preliminare che deve stabilire se l’imputato Rocco Leone, all’epoca vicedirettore del Pam in Rd Congo, possa avvalersi dell’immunità o sia processabile per omicidio colposo. La posizione dell’altro imputato, Mansour Luguru Rwagaza, è stata nel frattempo stralciata, poiché il funzionario risulta irreperibile.

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