Più che una riforma che cambia i principi della valutazione dei magistrati la definisce “un’intimidazione“. Una questa parola Luigi De Magistris per commentare il decreto varato dal governo di Giorgia Meloni che istituisce le nuove “pagelle” per i magistrati. In caso di doppia bocciatura, dovuta a tutta una serie di criteri abbastanza facoltativi, si rischia il posto. “Con una discrezionalità così alta il messaggio è che i magistrati devono stare attentissimi, perché se vanno a toccare determinate questioni rischiano il licenziamento”, dice l’ex sindaco di Napoli che da pm di Catanzaro ha toccato personalmente i fili dell’alta tensione con le indagini Why not e Poseidon.
Dottor De Magistris, perché dice che il fascicolo di valutazione del magistrato è un’intimidazione nei confronti delle toghe?
Semplice, peché è un provvedimento che colpisce l’autonomia e l’indipendenza del magistrato trasformandolo in un burocrate, più attento ai numeri, alla statistica e al timore di sanzioni disciplinari. Ma è solo l’ultimo atto di un’azione cominciata tanto tempo fa.
Quando?
È almeno dagli anni ’80, dai tempi della scoperta della P2, che la politica ha avuto sempre la tentazione di mettere sotto controllo la magistratura. Una spinta che è continuata ovviamente con la discesa in campo di Berlusconi e del centrodestra. Ma non è che dall’altra parte abbiano mai fatto le barricate. Infatti la prima riforma dell’ordinamento giudiziario viene varata quando il ministro della Giustizia era Mastella con il governo Prodi. Ovviamente negli anni ci sono stati ulteriori rafforzamenti, in particolare con la ministra Cartabia. E adesso, con la Meloni, tutto si realizza.
Cosa si realizza?
Il centrodestra ha sempre avuto l’obiettivo di mettere sotto controllo, neutralizzare o addirittura intimidire, se guardiamo le dichiarazioni di questi giorni del ministro Crosetto, quella parte della magistratura che interpreta il ruolo con forte applicazione dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
La maggioranza, però, potrebbe sostenere che questa parte della magistratura non vuole essere giudicata in relazione alla bontà del proprio lavoro.
Il lavoro del magistrato non è un lavoro come un altro, non puoi dire che ogni fascicolo e uguale a un altro, che uno vale uno. Una valutazione del magistrato deve considerare la quantità ma anche la qualità del lavoro. E poi il magistrato è già valutato e si sottopone ai controlli di valutazione della sua professionalità. Questo fa parte della deontologia professionale ed è sempre stato così.
Però la quasi totalità delle valutazioni di professionalità dei magistrati è sempre positiva.
Modificare il sistema delle valutazioni non vuol dire introdurre controlli che vanno a colpire l’indipendenza della magistratura, non solo rispetto agli altri poteri ma pure a livello interno. Il costituente aveva esplicitamente previsto che anche il singolo magistrato dovesse essere indipendente.
Non sarà più così?
No, queste valutazioni minano l’indipendenza del magistrato perché possono portare a sanzioni disciplinari anche in modo molto discrezionale. Ed è tutto in linea con una gerarchizzazione sempre più forte degli uffici giudiziari, che ovviamente piace al potere politico perché è più facile controllare alcuni magistrati che controllarli tutti.
Quando parla di discrezionalità si riferisce al passaggio in cui si prevede che un magistrato rischia una valutazione negativa quando il numero delle sue sentenze riformate o annullate assuma “carattere significativo rispetto al complesso degli affari definiti”?
Questa non è una valutazione di professionalità della magistratura ma un’intimidazione attraverso la clava del disciplinare. Cosa vuol dire “carattere significativo”? Con una discrezionalità così alta il messaggio è che i magistrati devono stare attentissimi, perché se vanno a toccare determinate questioni rischiano il licenziamento. Se a questo noi aggiungiamo il sistema dei controlli interni alla magistratura, fortemente inquinato dalle correnti, allora possiamo dire che questo sistema normativo mette in pericolo proprio i magistrati più liberi.
Il sistema inquinato, come lo chiama lei, è proprio quello che negli ultimi tempi ha creato parecchie polemiche sul mondo delle toghe, dal caso Palamara in poi. A questo proposito: non crede che oggi la magistratura non abbia poi tutta questa credibilità quando lamenta tentativi di condizionamento da parte del potere politico?
Assolutamente sì. Questi ultimi anni rappresentano il momento ideale per sferrare l’attacco finale alla magistratura, perché si sono venute a creare tre condizioni.
Quali?
Intanto abbiamo un governo di centrodestra che ha sempre avuto l’obiettivo di colpire i magistrati, da Berlusconi in poi. Tutto questo avviene mentre il Paese è più distratto rispetto al passato, nel senso che ha altre priorità. E in un momento in cui la magistratura, anche per colpe proprie, non ha la credibilità e il consenso dell’opinione pubblica che aveva ai tempi di Tangentopoli o ai tempi di Falcone e Borsellino. E poi, sulle correnti, mi lasci dire una cosa.
Dica.
Si era detto che bisognava cambiare, che bisognava riformare il sistema. Io però sono un attento osservatore delle dinamiche interne della magistratura e non mi pare che ci siano stati grandi cambiamenti da questo punto di vista.
Tornando alle pagelle, è contrario a valutare la produttività dei singoli magistrati?
Sulla produttività dobbiamo stare attenti, perché ci può essere il caso di un magistrato iper produttivo che fa migliaia di decreti penali di condanna, magari col ciclostile perché deve cambiare solo il nome dell’imputato per furto di energia elettrica. E poi un altro che magari ne fa solo cento ma sono procedimenti molto complessi. Il processo sulla Trattativa Stato-mafia non lo puoi paragonare a mille decreti penali di condanna. Il mestiere del magistrato non è un mestiere meccanico. E invece in questo modo vogliono costruire una magistratura impiegatizia, che non disturba il manovratore. Meno problemi crei, più carriera puoi fare.
Nel provvedimento, tra l’altro, si prevede che per la valutazione di un magistrato abbia peso anche il voto degli avvocati: è d’accordo?
Guardi, una cosa è che gli avvocati partecipino in qualche modo all’autogoverno la magistratura, attraverso i consigli giudiziari. Ma che debbano fornire pareri sui magistrati vuol dire che siamo di fronte a un altro tentativo di condizionamento.
Secondo alcuni suoi ex colleghi da domani ai pm converrà portare a processo solo imputati colti in flagranza di reato o quasi, per evitare il rischio di perdere i processi e dunque avere problemi nelle valutazioni. È d’accordo?
Certo. L’idea di valutare il magistrato in base all’accoglimento delle sue richieste se è un pm o alle riforme delle sentenze se è un giudice è un’aberrazione. È fisiologico che un processo possa finire con una condanna in primo grado e un’assoluzione secondo grado, salvo che poi non ci siano invece gravi violazioni di legge, errori macroscopici all’interno dei procedimenti. Ma d’altra parte cosa dicono i politici quando qualche colletto bianco viene assolto?
Cosa dicono?
Che il processo non ci doveva essere, anzi neanche le indagini si dovevano fare. Ma le indagini e i processi si fanno proprio per sancire se un imputato è colpevole o innocente. La verità è che alla politica interessa colpire i magistrati particolarmente fedeli al dettato costituzionale dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.