Si fa alla svelta a dire “cessate il fuoco”: quando se ne sente parlare, inevitabilmente il pensiero corre all’idea che sia il primo passo di un processo di pace. Ma è davvero così? Innanzitutto, dobbiamo volare bassi e dare una definizione minima e realistica del cessate il fuoco -noto anche come tregua o armistizio-: dal punto di vista legale e operativo è un’interruzione temporanea di una guerra “calda” in cui ciascuna parte, in modo concordato con l’altra o unilaterale, sospende l’uso della violenza, così come le azioni aggressive. Ciò può avvenire in presenza, ma spesso anche in assenza, di un accordo formale, insomma di un pezzo di carta firmato da entrambi, così come per volontà dei massimi vertici politici o anche solo per scelta dei comandanti militari sul campo. Soprattutto, la Storia degli ultimi cento anni ci racconta che i cessate il fuoco possono avvenire in conflitti tra stati, cioè tra soggetti che a cui è attribuito l’uso legittimo ed esclusivo della forza, ma anche tra stati e organizzazioni non statali, come compagnie di mercenari, eserciti di liberazione o gruppi terroristici.
Tregua tra stati e non solo- Così, l’8 febbraio 2005 il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ha definito pubblicamente il cessate il fuoco appena entrato in vigore tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese con queste parole: “Abbiamo concordato che oggi il presidente Mahmoud Abbas dichiarerà la completa cessazione della violenza contro gli israeliani ovunque e il primo ministro Ariel Sharon dichiarerà la completa cessazione della violenza e delle attività militari contro i palestinesi ovunque”. Dello stesso tono è stato il cessate il fuoco annunciato il 21 novembre, ed entrato in vigore tre giorni dopo, da parte del governo del Qatar, ma con una differenza: mentre una delle parti era sempre lo stato di Israele, dall’altra non c’era né l’Autorità palestinese, che non è coinvolta nel conflitto, né la Striscia di Gaza, che non è un soggetto, bensì la stessa Hamas, un’organizzazione terroristica per decine di governi e il potere de facto della Striscia. Addirittura, nel giugno 2015 “scoppiò” nell’area di Aleppo un cessate il fuoco tra le forze del così detto Stato islamico e i ribelli islamici opposti al regime di Damasco allo scopo di “facilitare la ricezione di carburante e petrolio e coprire i bisogni dei civili”. Insomma, quando ci sono i contendenti di una guerra una tregua può sempre essere costituita, a volte anche per obiettivi molto pratici e limitati.
Un break nei combattimenti – Certe volte le tregue non riguardano proprio la totalità del territorio dove si combatte ma, come nel caso di Aleppo, solo una parte del fronte o addirittura soltanto una località precisa e per un tempo brevissimo. È il caso, per esempio, delle pause nei combattimenti che si sono osservate di recente soprattutto nell’Ucraina orientale, con le milizie di PMC Wagner, l’esercito russo e quello ucraino che cessano di spararsi addosso per il tempo necessario a rimuovere i cadaveri e i feriti gravi dalle trincee. Le due parti, comunicando spesso con segnali, concordano in modo informale di non aggredirsi finché gli operatori umanitari sono in azione: ovviamente, spesso e volentieri le truppe di Prigozhin non rispettavano la consegna… Non si tratta di una novità ovviamente: mentre nelle grandi battaglie campali in passato le parti raccoglievano morti e feriti alla fine della giornata -o delle giornate- di combattimento, usando le “montagne di morti” sul terreno per scopi tattici, durante le guerre di posizione entrambe le parti hanno interesse a togliere di mezzo il rischio di epidemie, fermandosi giusto il tempo per rimuovere i propri soldati deceduti o che non sono più in condizioni di spostarsi da soli.
Il cessate il fuoco più duraturo – Ma esistono anche esempi di tregue che sono durate per decenni. Il caso più famoso, arrivato ormai al settantesimo compleanno e ancora in vigore, è l’Accordo di armistizio coreano, firmato il 27 luglio 1953 dal comando delle Nazioni Unite, dalla Corea del Nord e dalla Cina di Mao, che mirava a “garantire la completa cessazione delle ostilità e di tutti gli atti di forza armata in Corea fino al raggiungimento di una soluzione pacifica finale“. Uno dei beneficiari, la Corea del Sud, non lo ha mai nemmeno sottoscritto, mentre nel 1994, la Cina popolare si ritirò dalla Commissione militare per l’armistizio, lasciando sostanzialmente la Corea del Nord e il comando delle Nazioni Unite come unici partecipanti. Fino al 2020, Seul ha contato 221 violazioni nordcoreane del cessate il fuoco; dal canto suo Pyongyang ha dichiarato sei volte, tra il 1994 e il 2013, che non avrebbe più rispettato l’accordo. Ma siamo ancora lì, dopo tre generazioni, aggrappati a quella tregua che non piace a nessuno, solo perché l’alternativa è un incubo orribile.
Quando lo fa uno solo, non vale per l’altro – Non tutti i cessate il fuoco hanno coinvolto tre parti (oltre a un convitato di pietra, la Corea del Sud), come quello coreano appunto. Ci sono state tregue che hanno riguardato… una sola parte. È il caso del cessate il fuoco unilaterale mediato dalla Santa sede in Viet Nam il primo gennaio 1968, che riguardò solo gli americani. Dato che i Viet Cong e il Vietnam del Nord non aderirono alla tregua, dieci minuti dopo la mezzanotte tennero un’imboscata alle truppe del Viet Nam del Sud e a una base dell’esercito americano vicino a Saigon, causando parecchie vittime. San Paolo VI non potette certamente aspettarsi che Washington a quel punto porgesse l’altra guancia.
Oggi non si combatte! – Infine, ci sono state tregue decise in coincidenza con occasioni speciali. La settimana prima e quella successiva al 25 dicembre 1914 ci fu un cessate il fuoco non ufficiale sul fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale, mentre Francia, Regno Unito e Germania osservavano il Natale. Secondo le testimonianze dell’epoca, il cessate il fuoco fu breve ma spontaneo, tollerato dagli ufficiali per tenere alto il morale delle truppe. Allo stesso modo, l’Esercito repubblicano irlandese (IRA) nei decenni passati ha più volte annunciato un cessate il fuoco unilaterale per i giorni a cavallo del Natale. Diverso è il caso del cessate il fuoco umanitario globale di 90 giorni imposto dalle Nazioni Unite nell’agosto del 2020, in coincidenza con la pandemia da Covid-19, bellamente ignorato dai combattenti della seconda guerra del Nagorno-Karabakh.
Si smette di spararsi per ammazzarsi meglio – La verità è che, lungi dal rappresentare un passo verso la pace, il più delle volte le tregue hanno rappresentato per le parti coinvolte l’occasione per riorganizzare le truppe, ricevere rifornimenti o creare le condizioni per ridurre i danni. È stato, per esempio, il caso dei cessate il fuoco entrati in vigore di continuo tra le parti in lotta in Bosnia negli anni Novanta, pronte a tornare a scannarsi dopo giorni o settimane con poche o punte aggressioni, gradite ugualmente dalle anime belle dei movimenti per la pace e dai signori della guerra. In un certo senso, è anche il caso del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, anche se tutti speriamo di no.
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