“Senti, ma la birra italiana è buona?”. È una curiosità che diversi interlocutori appena conosciuti mi pongono quando, muovendoci tra le curve di una conversazione di circostanza, arriviamo a parlare della mia passione per malto e luppoli. “Sai, non è che me ne intenda tanto, – potrebbe essere il loro approccio prudente – ma mi piace bere una birretta ogni tanto”.
Ecco, partiamo allora distinguendo tra produzione di massa e industriale (la “birretta”) che di italiano ha solo il nome sulla bottiglia, a volte la provenienza degli ingredienti (che non importa granché, ai fini della qualità finale della bevuta) e di tanto in tanto neanche il luogo di produzione, e dall’altra parte la variegata espressione dei 900 microbirrifici artigianali disseminati dal nord al sud della penisola.
Mi sentirei per prima cosa di consigliare al neofita una visita a “Eurhop”, il festival che si svolge a Roma ogni ottobre e che nell’edizione 2023 ha portato una fantastica selezione di mastri birrai da tutto lo Stivale concentrandoli nel Salone delle Fontane dell’Eur. La novità pensata dagli organizzatori quest’anno è stata quella di separare produttori nostrani e stranieri, destinando a questi ultimi speciali sessioni di assaggio e dedicando lo spazio principale della manifestazione alla celebrazione del meglio della birra made in Italy, in un tripudio di interpretazioni raffinate degli stili storici di tutto il mondo.
Quando si parla di prodotti alimentari, si sa, l’assaggio diretto, anche da parte di palati senza adeguato allenamento, è sempre l’approccio più immediato per valutarne la qualità, pur se viziato da indiscutibili varianti soggettive. E allora proviamo a introdurre nell’argomento valutazioni con peso specifico maggiore per dare un voto alla birra italiana: suggerisco di considerare quindi i concorsi internazionali, le dichiarazioni di addetti e operatori del settore e infine i numeri e i trend dell’export.
Il “Brussels Beer Challenge” è il primo termometro valido per leggere lo stato di salute delle singole produzioni nazionali, sulla base di 1811 birre provenienti da ogni dove (37 paesi da tutti i continenti) e di una giuria internazionale di 90 esperti: sono stati svelati la scorsa settimana i risultati dell’edizione 2023 e il riconoscimento per la migliore birra della competizione è andato a un’etichetta nostrana, la Millican Extra del birrificio abruzzese Mezzopasso. Non solo: dietro ai padroni di casa del Belgio e alla loro millenaria esperienza e fama, l’Italia si piazza al secondo posto per numero di medaglie (37), con 14 sigilli d’oro.
Spostandoci in Spagna il risultato non cambia: dal “Barcelona Beer Challenge” 2023 i nostri produttori sono tornati a casa indossando al collo 67 medaglie (19 con il metallo più prezioso). All'”European Beer Star” di Norimberga, infine, sono stati annunciati i vincitori: 28 gradini sul podio per l’Italia, compresi 8 primi posti tra le 73 categorie in concorso. Certo, applichiamo tutte le tare del caso: la giuria del concorso di Bruxelles ha decretato ad esempio che la migliore interpretazione di IPA in stile inglese è prodotta dal gigante industriale Tsingtao – sì, proprio quello dell’ingrediente “speciale” aggiunto nella vasca di stoccaggio del malto.
Resta il fatto che risultati così eccezionali, e ripetuti costantemente nelle precedenti edizioni dei concorsi, costruiscono l’ottima reputazione della nostra birra a livello internazionale. Come confermano i giudizi di chi la birra la fa, la beve e la conosce. Scartabelliamo a caso in rete: “Ci sono persone e eccellenti birrifici che adoro in Italia” (Mikkel Borg Bjergsø, patron di Mikkeler); “Sono rimasto molto impressionato dalla qualità della birra artigianale italiana, dalla dedizione e dalla capacità dei birrai” (Martyn Cornell, autore e storico); “L’Italia è un paese fantastico con uno scenario in velocissima espansione” (James Watt, fondatore di Brewdog).
Infine, lasciamo parlare i numeri della bilancia commerciale.
Nel 2022 sono usciti dai nostri confini poco meno di 4 milioni di ettolitri di birra (3.815.830 in attesa di eventuale rettifica Istat) prodotti da birrifici industriali e artigianali, in un trend di continua crescita e con un balzo in avanti del 24% negli ultimi 4 anni: destinazione principale il Regno Unito (48,2% del totale), seguito dagli Stati Uniti (9,1%), mentre il mercato europeo assorbe meno di un quarto (22,8%) della nostra produzione destinata all’estero. Accidenti, che numeri, e che soddisfazione piazzare le nostre birre in paesi di lunghissima e consolidata tradizione, verrebbe da dire; in realtà a far bere ad esempio gli inglesi sono birre che si fatica a definire italiane (e, qualcuno malignamente potrebbe aggiungere, buone). A coprire quasi completamente lo stock venduto oltre Manica sono infatti Peroni (proprietà giapponese, Asahi) e Moretti (ennesimo marchio in mano all’olandese Heineken, per di più prodotta a Manchester per il mercato locale), rispettivamente quarta e terza lager più bevuta nei pub.
Siamo tornati alla famosa birretta di partenza: anche dove qualità e ricercatezza sono annacquate, la percezione delle etichette col tricolore è solida e vincente. E allora la risposta è sì, la birra italiana non solo è buona, ma all’estero piace anche parecchio; non male, per un paese di tradizione brassicola relativamente giovane.