Le necessità di Raffaele Imperiale erano due. La prima: ripulire gli enormi guadagni delle forniture di droga per la camorra, un business che coltiva dagli anni Novanta. La seconda, non meno importante: ritagliarsi l’immagine dell’imprenditore di successo, capace di produrre ricchezza e lavoro in un territorio lontano, gli Emirati Arabi Uniti, dove potevano maturare fastidi e sospetti sull’origine delle sue fortune. Da qui inizia una storia che merita di essere raccontata. È quella del come e del perché Imperiale compra l’isola artificiale chiamata “Taiwan“, omonima dello Stato asiatico, a tre miglia dalla costa di Dubai. Un isolotto che il narcos vorrebbe ora cedere al governo italiano, come “regalo” a riprova della genuinità della collaborazione con la giustizia avviata l’anno scorso con il pm anticamorra di Napoli Maurizio De Marco e con l’allora procuratore capo Giovanni Melillo (oggi alla guida della Direzione nazionale antimafia).
Imperiale non è un pentito qualsiasi: è stato per anni a capo di un cartello internazionale capace di muovere miliardi di euro di narcotraffico alla luce del sole di Dubai, ed è stato estradato e tradotto in carcere a Rebibbia soltanto nel 2022, dopo l’arresto da parte della polizia emiratina nel 2021. La sua pluriennale latitanza dorata l’aveva trascorsa nell’agio di alberghi a otto stelle e di un villone di Palm Jumeirah immerso in un complesso di residenze extralusso (dove ha casa anche Roger Federer). Proprio sull’isola di “Taiwan”, attraverso le sue società immobiliari e i suoi prestanome, Imperiale avrebbe voluto realizzare un faraonico progetto di dodici ville da venti milioni di dollari l’una, con la firma dell’archistar Zaha Hadid. Resterà tutto solo sulla carta, anzi su un plastico. Ma andiamo con ordine.
È il 2008 quando Imperiale partecipa a un’asta e compra “Taiwan” per circa trenta milioni di dollari. È una delle trecento isole di “The World“, un arcipelago artificiale così chiamato perché visto dallo spazio ha la forma di un planisfero: il progetto è una idea dell’emiro Mohammed bin Rashid Al Maktoum, uno degli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio di oltre 14 miliardi di dollari. Ci sono voluti cinque anni solo per movimentare la sabbia necessaria all’operazione. Quando acquista l’isola, Imperiale non è ancora stanziale a Dubai: va avanti e indietro per il mondo, ma è ancora un signore della droga di Amsterdam, dove si era trasferito negli anni Novanta per fuggire dalle conseguenze di uno “sgarro” alla camorra dei Monti Lattari e per ereditare la gestione del Rockland Coffeeshop del fratello defunto. Un suo gancio olandese lo aveva introdotto ai rapporti coi narcos sudamericani e gli aveva permesso di sviluppare un enorme giro di affari. Era già diventato il principale fornitore di droga a Napoli e dintorni, in nome e per conto del clan degli scissionisti.
“Taiwan” è una delle isole meglio posizionate dell’arcipelago artificiale: per “Lelluccio” è solo questione di tempo. Prima o poi, è convinto, l’investimento darà i suoi frutti. Per portarlo avanti, quando nel 2010 si trasferisce a Dubai, fonda società tramite teste di legno, apre uffici nella Concord Tower (grattacielo di 40 piani e 176 metri), camuffa i panni del trafficante camorrista con quelli del finanziere rampante. In giacca e cravatta, dalle ampie vetrate della “AA Investments & Development” (la società immobiliare dove candeggia i proventi del narcotraffico), ammira il panorama di Dubai e redige piani di investimento. La sua azienda contatta l’archistar Zaha Hadid e commissiona al suo studio la progettazione di dodici megaville sull’isola, da vendere a venti milioni di dollari ognuna. Realizza persino un plastico che fa bella mostra di sé nei saloni della società ed è tuttora l’unica traccia concreta dei suoi sogni immobiliari. La verità è che ‘The World’ rischia di rimanere soltanto il sogno di un emiro e di chi ci aveva puntato le sue fiches: a parte una casa “vetrina” nulla è stato realizzato, e secondo alcuni studi le isole artificiali stanno iniziando ad affondare.