La Tunisia non ha ricevuto i soldi europei promessi da Giorgia Meloni e Ursula Von der Leyen. Anzi, i rapporti con Tunisi sono stati più volte in pericolo, anche per il tentativo della Commissione Ue di far passare per fondi relativi al recente accordo sull’immigrazione regolare stanziamenti datati, già promessi per aiutare il Paese a risollevarsi dopo il Covid e mai arrivati. Nel frattempo, nel Paese di Kais Saied le cose non sono certo migliorate, tanto che addirittura il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nei giorni scorsi si è lanciato nella perorazione della causa tunisina di fronte a Stati Uniti e Fondo monetario internazionale, perché soprassedano sulle riforme chieste e finora respinte da Saied e sblocchino miliardi di dollari necessari a Tunisi per contrastare la crisi economica. Tanto dura che dall’anno scorso la Tunisia è diventata il primo porto di partenza dei migranti che raggiungono l’Italia via mare, ma anche il secondo Paese d’origine delle persone che sbarcano sulle nostre coste: 17mila i tunisini arrivati dall’inizio dell’anno, secondo il Viminale. Secondo solo ai 18mila guineani per un totale di 152.000 sbarchi nel 2023. E tuttavia, fa sapere oggi il ministro Matteo Piantedosi, l’accordo siglato dalla Commissione Ue con Tunisi e benedetto dalla premier italiana, “sta funzionando”.

Diversa la valutazione dei giornalisti de La Stampa che hanno intervistato il ministro: “L’accordo con la Tunisia non ha funzionato: la colpa è di Saied? O dell’Europa?”, domandano. “Mi permetta di contraddirla: quell’accordo sta funzionando. La Polizia ha fermato più di 60mila partenze”. Il dato non è verificabile, ovviamente. Ma è almeno il caso di ricordare come diversi tribunali italiani considerino ormai la Tunisia un Paese d’origine non sicuro, tanto che anche i rimpatri – quelli dei tunisini sono più del 50% del totale delle poche migliaia di rimpatri che l’Italia riesce a fare ogni anno – non sono più cosa scontata. “Ma i migranti continuano ad arrivare”, ribattono prontamente i colleghi della Stampa. “La situazione è più complessa – spiega Piantedosi -. L’Italia è riuscita ad affermare in Europa un approccio più olistico sui temi dell’immigrazione. Ovvero che si debba migliorare il versante economico-sociale dei Paesi di origine e di transito dei migranti per contenere i fenomeni immigratori regolari. Ora gli accordi. vanno ampliati: non solo con la Tunisia, ma anche con l’Egitto, la Costa d’Avorio e altri Paesi strategici”.

Nell’attesa di risolvere i problemi dei regimi africani perché convincano le persone a non mettersi in viaggio, l’Italia ha lanciato l’operazione Albania, dove intende fare esattamente le stesse cose che fa sul suo territorio, ma spendendo più soldi, innescando una fila interminabile di problemi giuridici che non ha ancora detto come risolverà e senza alcuna prova che i risultati possano essere migliori di quelli ottenuti finora. Il protocollo firmato da Meloni col premier albanese Edi Rama, che apparentemente non rischia nulla se non di ottenere soldi dall’Italia e il sostegno alla sua domanda di ingresso nell’Unione europea, è a dir poco ambiguo. Tanto che lo stesso Tajani è stato mandato in Parlamento a tentare di dissipare almeno qualche dubbio perché non era chiaro nemmeno se il trattato possa evitare il passaggio in Parlamento, come il governo aveva insistito a dichiarare, o se invece ha bisogno di ratifica come prevede la Costituzione. Alla fine, smentendo quanto già dichiarato, Tajani ha annunciato un disegno di legge di ratifica che verrà sottoposto alle Aule. E tuttavia permangono dubbi, potenziali violazioni del diritto internazionale e conflitti con la normativa europea perché, nonostante la Commissione abbia avvertito che il trattato “è fuori dal diritto comunitario”, questo non esime l’Italia dai suoi obblighi di Stato membro. Per fortuna c’è Piantedosi a semplificare ogni cosa: “Guardi – dice all’intervistatore – l’Albania è tre volte più vicina alle nostre coste rispetto a Lampedusa. Quell’area sarà sottoposta alla giurisdizione italiana, sarà come un’isola italiana con norme e personale nostro”.

E rilancia: “C’è un grande interesse da parte di molti Paesi, come la Germania. Attenderei lo sviluppo del progetto prima di mostrare diffidenza”. Poi però non sa trattenere l’entusiasmo e aggiunge: “Non si può escludere che anche noi, se funzionerà, potremmo replicarlo“. Ma replicare cosa se ancora non è partito nulla e i nodi da sciogliere, giuridici e organizzativi, sono decine? Tempo al tempo, perché il primo a prenderselo è Piantedosi: “L’obiettivo è che ci sia prova tangibile del progetto entro il primo semestre del 2024“, risponde alla Stampa. Insomma, forse che sì, forse che no, prima delle elezioni europee potremmo vedere una delegazione del nostro governo veleggiare verso le coste albanesi per la posa della famosa prima pietra. Cosa accadrà dopo la chiusura della campagna elettorale europea è un’altra storia, e mai come in questo caso è ancora tutta da scrivere. Nella foga di replicare modelli si potrebbe intanto prendere nota delle parole dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani dell’Onu Volker Türk: “La tendenza preoccupante all’esternalizzazione delle procedure di asilo mandando i migranti in Paesi terzi non fa che alimentare i timori per i diritti dell’uomo”.

Ma non è tutto. Sulla questione dei richiedenti asilo l’Italia ha collezionato cinque condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo in un mese. L’ultima riguarda il ricorso di 13 minori tenuti per 50 giorni nell’hotspot di Taranto nella primavera del 2017, quando al governo c’era Paolo Gentiloni e ministro dell’Interno era Marco Minniti. La CEDU ha condannato l’Italia per aver detenuto illegalmente nel hotspot di Taranto diversi minori stranieri non accompagnati (art. 5, parr. 1, 2 e 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), per avere utilizzato trattamenti inumani e degradanti nelle misure di accoglienza applicate ai minori (art. 3 della Convenzione) che non hanno visto la nomina di un tutore né ricevuto informazioni sulla possibilità di contrastare in giudizio la condizione subita (art. 13 della Convenzione, in relazione all’art. 3). Perché dovrebbe riguardare l’attuale governo a partire da Piantedosi? Perché il Garante dei detenuti della Puglia ha appena fatto presente che nella stessa condizione sono ancora oggi 185 minori. La sua risposta alla Stampa? “La legge internazionale prevede che il minore debba avere un trattamento differenziato. È un principio giusto e sano, ma l’escalation di arrivi e l’assenza di strutture dedicate portano, a volte, all’impossibilità di rispettare questi paletti“. Paletti.

Poco importa, poi, se il ministro ci rassicura sul fatto che “nessun minore finirà mai in un Cpr per essere rimpatriato, né in Italia né in Albania”. Perché questo deve essere sacrosanto a meno di non voler violare ogni diritto fondamentale. Al contrario dovrebbe occuparsi delle conseguenze del decreto Cutro 2 col quale il governo ha aperto le porte delle strutture per adulti anche ai minori. Peggio: “I trattenimenti dei minori ancora in atto nell’hotspot di Taranto avvengono in assenza di ogni base legale e di ogni vaglio giurisdizionale, alcuni dei quali addirittura dallo scorso mese di agosto”, ha denunciato l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Una pratica che, secondo le recenti pronunce della Corte di Strasburgo, configurano “una specie di sequestro”, spiega l’avvocato Dario Belluccio che insieme a Marina Angiuli ha portato i ricorsi alla Cedu. Sulle condizioni dei minori trattenuti nei nostri hotspot spiega a La Stampa: “Si tratta di minori accolti in condizioni non adeguate e in promiscuità. E, come dice la sentenza Cedu, in strutture non deputate ad accogliere e trattenere minorenni. L’hotspot di Taranto è allestito su un parcheggio nel porto, è completamente isolato dal contesto urbano e sociale ed è assolutamente inadatto”.

Sulla prossima conversione in legge del decreto Cutro 2, aggiunge: “Sulla base di quanto previsto possiamo aspettarci ulteriori ricorsi e condanne perché secondo la nuova normativa i minori potranno essere accolti in spazi con gli adulti anche fino a 5 mesi. Piuttosto che ovviare allecarenze del sistema si decide di cambiare il sistema in peggio”. E ricorda che non si può mai derogare agli articoli 3 e 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, “neanche dinanzi a ingenti arrivi di migranti“. Altro che “paletti”: con tutta probabilità andiamo incontro ad altre condanne. In alternativa Piantedosi potrebbe ascoltare l’Asgi e intercedere presso le autorità competenti perché dispongano “l’immediato collocamento dei minori attualmente presenti presso l’hotspot nelle strutture per minori come previsto dalla normativa e di garantire il monitoraggio delle condizioni di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati nel rispetto degli standard di umanità e dignità volute dalla Costituzione e dalla Convenzione europea per i diritti umani”.

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