U è uguale a U. In questa formula c’è la sintesi dell’Hiv/Aids. Chi ha contratto il virus Hiv e si sottopone a terapia antiretrovirale può ridurre la carica virale al punto che non sia più rilevabile (U-ndetectable) e quindi non più trasmissibile (U-ntransmittable). Ma U è anche uguale a Urgenza, visti gli ultimi dati sulla malattia che rende ancora lontano l’obiettivo – come raccomandato dall’Onu – di debellare l’Aids entro il 2030. Ancora oggi, infatti, una persona su 10 con l’Hiv nei Paesi dell’Unione europea ed extra Ue (See) non è ancora a conoscenza del proprio stato. In più, solo nell’ultimo anno, 1 persona su 6 che vive con l’Hiv ha evitato i servizi sanitari. Il motivo? La paura di essere trattato in modo diverso: lo stigma nelle strutture sanitarie porta infatti a evitare visite e controlli medici. È quanto emerge da report pubblicato congiuntamente dall’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc).
HIV E AIDS – Ricordiamo che l’Hiv (Human immunodeficiency virus) è un virus che attacca e distrugge un tipo di globuli bianchi, i linfociti CD4, responsabili della risposta immunitaria dell’organismo. Il sistema immunitario viene indebolito fino ad annullare la risposta contro altri virus, batteri, protozoi, funghi e tumori. L’infezione da Hiv si rivela con gli effetti che provoca sul sistema immunitario. La presenza di anticorpi anti-Hiv nel sangue viene definita sieropositività all’Hiv. Pur con una infezione da Hiv, è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi di una malattia opportunistica. L’Aids (Acquired immune deficiency sindrome) è lo stadio clinico avanzato dell’infezione da Hiv. Una sindrome che può manifestarsi nelle persone con Hiv anche dopo diversi anni dall’acquisizione dell’infezione, quando le cellule CD4 del sistema immunitario calano drasticamente e l’organismo perde la sua capacità di combattere anche le infezioni più banali (infezioni/malattie opportunistiche).
L’ACCESSO AI TEST – C’è tuttavia un dato positivo: è aumentato il numero di persone che si sottopone al test Hiv che ha portato a un incremento del 4,2% delle diagnosi, con 37 Paesi su 49 che segnalano numeri in rialzo. Diversi Paesi hanno registrato il numero più alto di diagnosi in un solo anno. I dati rivelano che nel 2022 nella regione europea sono state effettuate 110.486 diagnosi di Hiv, portando il totale delle diagnosi a 2,4 milioni. Tra i fattori che hanno contribuito all’aumento delle diagnosi nel 2022, di sicuro l’incidenza della ripresa dei normali servizi di test dopo la pandemia di Covid-19. “Dobbiamo sottolineare il miglioramento della situazione in Italia, visto che da alcuni anni si è verificata una riduzione di infezioni da Hiv”, spiega al Fatto Quotidiano.it la professoressa Antonella Castagna, Ordinario di Malattie Infettive di Università Vita-Salute San Raffaele. “La metà di queste sono però ancora infezioni tardive, ossia le persone fanno il test quando presentano i sintomi e in queste condizioni spesso il patrimonio immunitario è già stato compromesso dal virus. Ecco perché è importante insistere su campagne di informazione per sensibilizzare le persone al tema dell’infezione da Hiv. Inoltre, abbiamo oggi a disposizione test rapidi molto efficaci che in pochi minuti ci danno il risultato. E possono essere eseguiti non solo in ospedale o ambulatori, ma anche in farmacia e nel rispetto di una maggiore privacy”. Oggi possiamo contare su una rete abbastanza strutturata che, nel caso la persona risultasse positiva, permette di eseguire in tempi veloci una diagnosi di conferma. Questo significa che “fare una diagnosi di infezione da Hiv permette di ricevere subito la terapia antivirale che nel giro di poche settimane porta il paziente a una riduzione della carica virale a tal punto che non è più in grado di trasmettere il virus per via sessuale”, continua Castagna. “Il concetto chiave che dobbiamo sottolineare è che tanto più precocemente iniziamo la terapia, tanto più saranno migliori la gestione e il miglioramento della qualità e spettanza di vita che oggi si avvicina alla popolazione media”.
Da sottolineare che in Italia l’Hiv viene trasmesso principalmente per via sessuale “soprattutto nella fascia di età tra i 30 e i 39 anni. Ed è più frequente, in ordine decrescente, nei maschi che hanno rapporti sessuali con lo stesso sesso, nei maschi e donne eterosessuali”, spiega l’esperta. Se i farmaci antiretrovirali rappresentano attualmente il trattamento d’eccellenza per l’infezione da Hiv, sono stati introdotti di recente nuovi farmaci che offrono un miglioramento della qualità di vita: “Quest’anno in tutti i centri italiani abbiamo la possibilità di prescrivere farmaci long-acting che ci consentono di passare dalla terapia orale quotidiana a una terapia intramuscolare ogni due mesi con netto miglioramento delle condizioni di vita dei pazienti, spiega Castagna. “Si è appena reso disponibile Lenacapavir, un farmaco rivolto a pazienti che presentano un virus multiresistente che può essere somministrato una volta ogni sei mesi sottocute”.
LA SVOLTA CON LA PREP – “La Prep è una conquista recente, si tratta di una ‘profilassi pre esposizione. In altre parole”, spiega Castagna, “diamo a persone ad alto rischio di contrarre il virus da Hiv un farmaco, una compressa, che oggi è rimborsabile anche in Italia. Questo farmaco, insieme alle applicazioni delle regole di prevenzione, come l’uso del profilattico e la prevenzione delle altre malattie sessualmente trasmesse, rappresenta una vera svolta per raggiungere l’obiettivo di portare a zero il numero delle nuove infezioni”.
PAURA DEL GIUDIZIO – Un dato sintomatico è che il 40% delle persone che vive con l’Hiv apprende dell’infezione casualmente e ben 2 su 10 rimandano la comunicazione, principalmente per la paura del giudizio e dell’emarginazione. È quanto emerso dall’indagine realizzata da Elma Research su 500 pazienti, da cui si evidenzia come l’infezione, nonostante i progressi terapeutici, ha ancora un impatto determinate su diversi aspetti della qualità della vita. Lo stigma pesa quindi ancora tantissimo. Ed è frutto della convinzione che chi si infetta è considerata una persona moralmente riprovevole, colpevole di comportamenti fuori dalla norma. Ma c’è anche uno stigma interiorizzato della persona affetta da Hiv che applica gli stessi atteggiamenti denigratori verso se stesso, che avverte senso di colpa per la sua condizione e paura di parlarne e farsi aiutare. “Un fenomeno cui si può rimediare con una seria educazione alla sessualità e alla salute, come stiamo facendo con il progetto EduForIST”, ci spiega il dottor Piero Stettini, psicoterapeuta, Vice-Presidente della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica (FISS) e curatore e revisore scientifico dell’Edizione italiana degli “Standard Oms per l’educazione sessuale in Europa”. “Un progetto coordinato scientificamente dall’università di Pisa e finanziato dal Ministero della salute e di cui presenteremo oggi i primi promettenti risultati. Il progetto si pone l’obiettivo di promuovere un modello efficace per l’introduzione dell’educazione alla sessualità e all’affettività nei curriculum scolastici delle medie e delle superiori. Attualmente sono state coinvolte nel progetto pilota, attivo da 3 anni, sei regioni (Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania e Puglia). Dai primi dati rilevati abbiamo constatato un gradimento altissimo da parte di tutti gli studenti e le studentesse, dei docenti e genitori. E ottimi risultati in termini di aumento delle conoscenze nell’ambito della sessualità e degli strumenti di prevenzione.
PER UNA SESSUALITA’ GIOIOSA – Il tema dell’educazione sessuale è di sicuro una delle note dolenti quando si parla di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. “In questa legislatura è stato presentato il progetto di legge, la 218, che ha ricevuto l’approvazione di tutti i gruppi parlamentari e che sarà a breve discusso in Aula”, sottolinea Stettini. “In esso si parla di consentire a un/a minorenne di effettuare il test senza dover passare dal consenso dei genitori”. Questo non solo permetterebbe di anticipare le cure, ma potrebbe evitare l’ulteriore diffusione inconsapevole dell’infezione. Quando però parliamo di educazione sessuale la si intende ad ampio spettro, che punti sulla salute, il benessere, le risorse, sulla bellezza della sessualità e delle relazioni sessuali e non solo sulla paura, perché l’educazione basata sulla paura non funziona. Il progetto Eduforist punta proprio a prevenire le conseguenze negative legate alla sessualità, come le infezioni sessualmente trasmissibili o le gravidanze non desiderate, ma anche a valorizzare aspetti fondamentali come la gestione delle emozioni e delle relazioni affettive, il rapporto con il proprio corpo, il piacere, l’uguaglianza di genere e il rispetto. È sorprendente come in Europa siamo rimasti solo noi, Lituania, Croazia, Romania e Bulgaria a non avere un’educazione sessuale obbligatoria inserita nei curricola scolastici dei diversi ordini e gradi”.