Forse è un segno della mancanza di una cultura del bene comune di cui il Paese avrebbe tanto bisogno, ma che ancora non ha. Quando ci sono tanti soldi di mezzo e poco senso civico la bramosia si fa sistema. Si mantiene in vita soffocando il ricambio dei gruppi dirigenti, intervenendo senza remore su regole e garanzie per cristallizzare posizioni di potere che si legittimano solo nella comunanza con le altre, sostenendosi reciprocamente. Come alla fine dell’ancien regime.
Nelle vicende che accompagnano la vita dell’Enpam, l’ente di previdenza dei medici e dei dentisti, si può ritrovare tanto dell’Italia che lavora, e non da oggi, alla sclerosi del paese per continuare a vivere di privilegi mentre la massa stenta, borbotta, ma ancora sta buona in cambio di poco. Per questo non mi stanco di occuparmene.
Sabato 25 novembre l’Assemblea Nazionale dell’Enpam ha approvato, oltre al preconsuntivo 2023, anche alcune modifiche allo Statuto dell’ente. Fra queste balza agli occhi la riduzione della durata dei mandati di presidente e CdA da 5 a 4 anni per farli coincidere con le elezioni degli Ordini professionali provinciali e nazionali di cui la cassa gestisce la previdenza.
Questa la bella notizia, subito seguita dal suo contraltare: i mandati consecutivi possibili passano da due a tre. Dunque gli amministratori potranno sedere sullo stesso scranno d’oro per 12 anni anziché per 10 com’è ora; potranno poi alternarsi fra loro nelle cariche per i periodi successivi, come già fanno, onde mantenere il potere.
Già, finora con l’alternanza fra le cariche, l’attuale presidente Oliveti siede nel CdA dal 1995, il consigliere Malagnino dal 2000, l’attuale vicepresidente vicario Galvano dal 2010, lo stesso l’attuale revisore Malek. Per finire il contentino, come recita il comunicato diramato dai vertici dell’Ente subito dopo le conclusioni dei lavori: “Approvate infine modifiche che puntano a garantire una migliore rappresentanza di genere e a facilitare il ricambio generazionale negli organi di amministrazione.” Le modifiche statutarie diventeranno effettive solo quando acquisiranno il parere positivo dei Ministeri del lavoro e dell’Economia che hanno compiti di vigilanza. Senza questo le modifiche approvate non valgono.
Proprio come è successo a un altro ente previdenziale, quello dei Veterinari, l’Enpav. Come un déjà vu. Il 25 luglio del 2020 l’Assemblea dell’Enpav approva a maggioranza una modifica allo statuto – il solito aumento di mandati per perpetuare la casta, la modifica al regolamento elettorale per cui chi vince prende il piatto e così via – con il voto contrario di circa un terzo dei Delegati provinciali. Un gruppo di questi comunica all’Ente i propri rilievi con una nota che diventa pubblica e, probabilmente, contribuisce a indurre il Ministero del Lavoro alla bocciatura delle proposte di modifica.
Quello dell’Economia definisce addirittura l’operazione “una decisione degli organi attuali, sostanzialmente, in favore di un prolungamento delle proprie cariche”. Giudizi e considerazioni non meno pesanti per quanto riguarda il sistema elettorale, gli emolumenti e le indennità degli amministratori. Insomma, Enpav bocciata su tutta la linea dai Ministeri controllori.
Invece di incassare lo smacco e tornare a occuparsi solo di tutelare adeguatamente la previdenza dei Veterinari italiani, i vertici dell’Ente presentano ricorso al Tar del Lazio, contestando l’autorità dei due Ministeri e la loro facoltà di intervenire bloccando l’efficacia della decisione assunta dall’assemblea. Nel settembre 2021 il Tar boccia ricorso dell’Enpav, dando indirettamente ragione anche ai Delegati provinciali che avevano osato opporsi al tentativo del CdA e del presidente di trasformare l’ente in un loro feudo personale. Fine della storia.
Adesso ci riprova l’Enpam, che svetta fra le altre 18 Casse previdenziali dei professionisti per imponenza, bilancio e patrimonio, rapporti con la politica che conta. Della gestione del patrimonio immobiliare si sono ancora di recente occupate le cronache e non solo quelle. Lo stesso dei rapporti con la politica. Degli investimenti pure. Degli emolumenti principeschi del CdA anche, l’ultima volta nel marzo di quest’anno. D’altra parte gli oltre 600mila euro l’anno – questo gli emolumenti del presidente, il CdA in proporzione – giustificano un attaccamento all’Ente e un accanimento così pervicace.
L’Assemblea ha approvato – con solo 7 contrari e 5 astenuti -, resta lo scoglio della validazione da parte dei due Ministeri e del precedente del ricorso al Tar che ha dato loro ragione quando hanno stoppato l’Enpav. Inutile dire che rumours danno per certo l’intervento dei medici dissidenti. Su iniziativa dell’Amire hanno scritto a tutti i presidenti degli Ordini provinciali prima dell’Assemblea per fare presente i rischi di ciò che stavano per votare, ma senza troppa fortuna.
La storia sembra la ripetizione di quella dei veterinari di tre anni fa, quella che originò la bocciatura dei vertici dell’Enpav. La partita di oggi è più importante: i veterinari sono circa 33.300, ma i medici e dentisti circa 450.000. Basterebbe che la gestione delle casse professionali passasse all’Inps, come qualche tempo fa quella dei giornalisti, ma non si fa.