“Una fotografia è un segreto che parla di un segreto. Più essa racconta, meno è possibile conoscere”, “Tu vedi una persona per strada, e la cosa fondamentale che noti è il suo difetto“, “Ciò che preferisco è andare dove non sono mai stata”. Per parlare dell’arte fotografica di Vec Samoano ho voluto esordire con tre citazioni di Diane Arbus, fotografa statunitense di origini russe, famosa per i suoi meravigliosi scatti ai freaks. A mio avviso ci sono delle affinità poetiche tra le fotografie della Arbus e di Vec Samoano, entrambi spingono il proprio sguardo oltre la soglia della percezione comune, cogliendo la bellezza irriverente di chi è considerato un “mostro”, eppure mostro è tutto ciò che suscita la nostra meraviglia, i mostri non possono passare inosservati, immaginatevi di vedere camminare tra la folla la creatura del dottor Frankenstein, tutti gli altri scompariranno, è il mostro che cattura la nostra attenzione e la nostra curiosità.
Ognuno di noi è mostruoso visto da vicino e ognuno di noi può diventare un mostro (un incidente, un’ustione, un’amputazione), come ci ricorda quel capolavoro assoluto del cinema che è Freaks di Tod Browning. Per quanto mi riguarda i mostri veri e propri sono quelle persone comuni, piatte, omologate, conformiste, ordinarie, senza nulla di straordinario, senza nulla di vero e di sovversivo.
La cosa che più mi angoscia è il conformismo dello sguardo, quel “piattume oculare” che rende il mondo come qualcosa di già visto e masticato da altri, come se ci imboccassero gli occhi con una pappina scipita. L’arte invece ha il compito di farci entrare “nelle viscere dello sguardo”, ed è quello che fa Vec Samoano con i suoi scatti di corpi femminili (Visceral è la prima mostra fotografica di Vec che ho visto), corpi appesantiti, ammassati tra di loro, contrassegnati dalla grazia oscena della loro verità estetica, lontanissimi dalla noiosa perfezione delle modelle da copertina, corpi inseriti in salotti aristocratici o borghesi, a marcare la differenza tra ciò che è considerato “elegante” e ciò che invece viene rifiutato perché insolito o strambo.
La foto che più mi ha colpito è quella di una donna nuda in una vasca, amputata di un seno, con una lente di ingrandimento che ingrandisce a dismisura il suo occhio che ci fissa e ci sfida, sfida il nostro rifiuto del dolore, sfida il nostro confine tra ciò che vogliamo vedere e non vogliamo vedere per paura o vigliaccheria, perché la pubblicità ci ha abituati a vivere in un mondo alterato dove tutti sono belli, felici e sorridenti, e quindi mostruosi.
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Ci sono molte anime in Vec Samoano, c’è il fotografo d’arte, il fotografo di moda e il fotoreporter, ma sono anime che si contaminano e che confluiscono fra di loro, senza inutili e obsolete distinzioni, il germe della modernità è proprio questa contaminazione costante, dove è impossibile e insensato mettere delle etichette. Seguendo questa poetica un reportage in Marocco si trasforma in un servizio di moda, un servizio di moda invece diventa un reportage sui generis sulla bellezza reinventata dallo sguardo denudante di un artista come Vec Samoano.
Classe ’93, nato in un piccolo paese a nord della Puglia, Vec è un artista che riesce a coniugare la sua fedeltà alle proprie radici (la sua mostra TERRA, un reportage sulle arti e i mestieri risalenti all’antica civiltà japigia) con il suo bisogno di fuggire verso altri mondi e altre culture, cittadino del mondo e dallo sguardo cosmopolita. Ho avuto il piacere di conoscerlo in un giorno di pioggia a Milano, ci siamo fatti due chiacchiere e ne ho fatto uno dei miei videoritratti (per chi è curioso alla fine di questo pezzo metterò il link al mio film). Mi è sembrato un ragazzo coraggioso, tenace, in piena ebollizione creativa, ricco di progetti e di visioni, con tanta voglia di vivere e convivere, con il desiderio di infrangere gli schemi dello sguardo omologato e rassicurante, per donarci una presa sulla realtà diversa, per farci andare dove non siamo mai stati con lo sguardo e di conseguenza con la nostra mente, ed è quello che dovrebbe fare ogni artista: arricchire a dismisura la nostra percezione delle cose.
Vi lascio con il ricordo di una delle sue fotografie più belle, uno scatto fatto in una metropolitana della Germania (non ricordo la città), dove vediamo una donna seduta con il volto coperto da una rivista, in copertina c’è il Titanic che affonda e anche la donna sembra affondare insieme al Titanic, a ricordarci che la vita è fatta di annegamenti, di mostri, di dolore, di stupore, di ambizioni e disfatte, ma che la nostra unica possibilità di vincere su tutto questo sfacelo meraviglioso è la nostra testimonianza unica e irripetibile, a patto che resti tale, senza cedere al déjà-vu.