“Sono unə medicə veterinario, una modella, un’attrice, un’atleta e prima di essere una persona disabile sono prima di tutto una donna, con i propri bisogni fisici e mentali”. È la definizione che da di sé Manuela Migliaccio, protagonista di Let’s Talk About Sex, documentario di Sette E Mezzo Studio su sesso e disabilità, ideato dalla giovane autrice Olga Sargenti insieme ai registi Roberta Palmieri e Francesco Rubattu. Sesso e disabilità, probabilmente tabù dei tabù. “Questo è un tema che non viene mai trattato in maniera adeguata – afferma Migliaccio a ilfattoquotidiano.it -, a differenza dei normodotati con la disabilità (gli standard non sono fissi quando si parla di sessualità). Ci sono una serie di deficit fisici e mentali che cambiano in base al tipo di disabilità. Non se ne parla in maniera corretta non essendoci in Italia una cultura né sulla disabilità, né sul sesso”. Nei giorni scorsi Sette E Mezzo Studio ha lanciato una campagna di crowdfunding per sostenere l’avvio delle riprese programmato per inizio 2024.

Manuela, classe 1984, è originaria di Napoli: nel 2009 dopo un incidente ha perso l’uso delle gambe. Oggi lavora come medico veterinario nel Nord Italia. È stata anche una maratoneta, percorrendo 15 km con un esoscheletro, ha sfilato a New York in carrozzina, con tanto di censura su Facebook per una foto un po’ troppo osé per gli standard social dell’epoca. È lei la protagonista di Let’s Talk About Sex. “In Italia abbiamo una visione della disabilità molto in negativo. Una persona disabile è vista come un peso per lo Stato, per la società, per tutto. Non viene considerata una persona che possa avere una vita sociale attiva, mica va al cinema a guardarsi un film o ad un concerto con gli amici, rimane a casa con la copertina”.

Stereotipi che si trasformano in isolamento quando l’approccio è sbagliato o non più aggiornato con i tempi. “Prima una che andava spesso ai concerti, adesso non ci vado perché non posso più condividere il momento con i miei amici dato che come disabile devo stare in una “gabbia” con il mio accompagnatore. Ghettizzata, senza poter più condividere l’amore di una passione con gli altri fan”. Fuori da confini nostrani, strano a dirsi, tutto cambia. “Una volta – racconta Manuela – sono andata al Boom Festival, in Portogallo, che è un rave in un posto sperduto in mezzo al nulla. Arrivata a mostrare il biglietto mi hanno domandato perché stessi facendo la fila in carrozzina come gli altri. Erano stupiti dato che c’era un accesso personalizzato per i disabili. Ed era un rave. Stessa cosa in Andalusia, dove un barista per un semplice dislivello che io posso superare senza troppe difficoltà voleva mettermi una pedana. In Italia questo quando accade?”.

Il progetto Let’s Talk About Sex è nato da un’idea di una giovane autrice, Olga Sargenti. “Nella mia vita non ho mai avuto a che fare con la disabilità, non ho parenti disabili, non avevo amici, non ero molto informata sull’argomento – ammette Sargenti -. La storia di Manuela mi ha colpito. Dopo averla conosciuta, nelle varie interviste e chiacchierate preparatorie alla fase di scrittura, ho capito quanto fosse sbagliato il classico stereotipo del disabile che poverino deve essere aiutato. Ho capito che di disabilità ce ne sono diverse”. Su un argomento, però, non vi erano molte distinzioni: la violenza di genere, ciò che hanno subito e subiscono come donne nella società. “Quando parlavamo di violenza fisica o psicologica, come donne, ecco lì in certi momenti dimenticavo anche che lei fosse disabile. Anche questo rende la sua storia universale e non diretta solo alle persone disabili”.

In Italia secondo l’Istat le donne disabili subiscono violenza fisica o psicologica il doppio rispetto alle normotipiche. Nel 2014, quando per la prima volta emergono questi dati, il 72% delle intervistate aveva subito violenza nell’arco della propria vita. “Manuela ci ha raccontato quando una volta venne inseguita da dei ragazzi e dovette scappare – afferma Roberta Palmieri, regista -. Quei ragazzi stavano inseguendo una donna disabile ma la prima cosa che vedevano era il fatto che fosse una donna. Quando lei torna a casa da sola ha un problema come ce l’ho io”. Parlare di sesso significa anche parlare di approccio alla sessualità, negativo e positivo. Il tema deve essere affrontato a 360°, a maggior ragione quando si parla di sesso. “Benché negli ultimi tempi di parli molto di educazione all’affettività e alla sessualità, sono ancora molte le incongruenze e zone d’ombra riguardo ai diritti civili delle persone portatrici di disabilità”, dichiara a Ilfattoquotidiano.it Francesco Rubattu, regista. “Dopo l’incidente Manuela ha avuto tutti gli aiuti possibili immaginabili: medici, infermieri, psicologi. Ma nessuno sessuologo che le reinsegnasse a riappropriarsi del proprio corpo dopo una trasformazione così grande”.

Per il giovane regista l’analogia della storia di Manuela è applicabile anche agli studenti: “A scuola i ragazzi di oggi sono seguiti da moltissime figure e hanno insegnanti per qualsiasi materia, ma nessuno che ti spiega cos’è il consenso, cos’è davvero una mestruazione, come dialogare con il tuo corpo e con quello degli altri. La scoperta del sesso avviene con il porno online, che è un po’ come dire che uno studia la storia dell’impero romano guardando il gladiatore di Ridley Scott”. Il modo in cui questo messaggio di necessità intergenerazionale viene trasmesso è non meno importante del massaggio stesso. “Una delle cose che più mi hanno colpito di Manuela – sottolinea Palmieri – è il suo sguardo un po’ disinibito ma anche ironico. Un approccio così manca. Se il contenuto non viene portato con un certo linguaggio si ricadrà di nuovo nei tabù e questo non ce lo possiamo più permettere. Non dobbiamo cadere nelle solite narrazioni in cui il disabile è il disabile punto”.

“Oggi le generazioni dei ventenni sono più libere sessualmente rispetto a quelle dei nostri genitori, sicuramente di questa maggiore libertà se ne parla più spesso – afferma Sargenti -, rimane però una loro conquista e non delle istituzioni come le scuole che dovrebbero accompagnarne la naturale presa di consapevolezza ma non lo fanno. Questa dinamica l’abbiamo notata anche nella difficoltà di costruire la campagna di crowdfunding: devi essere attento ai termini non troppo osé quando parli ad un pubblico generalista altrimenti hai il dubbio che l’interlocutore si spaventi”. Nel documentario è coinvolto anche Maximiliano Ulivieri, presidente del comitato LoveGiver che dal 2013 lotta per tutelare il diritto alla sessualità delle persone disabili attraverso azioni concrete, come l’introduzione degli O.E.A.S., gli assistenti all’emotività, affettività e sessualità. “In Italia, la situazione riguardante il sesso e la disabilità non parte completamente da zero, ma ci sono ampi margini di miglioramento – dichiara l’attivista a Ilfattoquotidiano.it. Se dovessimo valutare su una scala ipotetica da zero a cento, direi che ci troviamo intorno al venti percento. Questo livello, tuttavia, non è uniforme in tutto il paese; varia considerevolmente a seconda delle regioni e delle comunità”. Come e dove bisogna agire per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità? “L’educazione è fondamentale. Inoltre, è essenziale fornire adeguati servizi di supporto e risorse informative, tanto per le persone con disabilità quanto per i loro familiari e per i professionisti del settore. L’obiettivo è creare una società in cui la sessualità, indipendentemente dalle condizioni fisiche o mentali, sia riconosciuta come un diritto umano fondamentale e trattata con il rispetto e la dignità che merita”.

Non vi bisogna dimenticare, poi, quanto il tema delle barriere architettoniche sia di cruciale importanza anche per l’impatto sulla vita sociale e sessuale delle persone con disabilità. “Il legame è diretto e significativo – sottolinea Ulivieri – per vivere la propria sessualità, è fondamentale poter incontrare le persone giuste, e ciò implica l’accessibilità a luoghi come bar, ristoranti, cinema, negozi, e mezzi di trasporto pubblico”. È concorde anche Manuela che alla domanda su quale fosse la prima cosa che cambierebbe per migliorare la vita delle persone disabili ha risposto: “Treni e autobus. Basterebbe comprarne di nuovi o almeno mettere delle pedane manuali, aiuterebbe moltissimo la maggiore circolazione delle persone disabili”. Il messaggio del documentario Let’s Talk About Sex rimane. “Non vogliamo insegnare nulla – sottolinea Manuela – Io faccio una vita normale: lavoro, vivo da sola. Faccio 60 ore la settimana in ospedale come veterinaria, ma non è stato semplice, all’inizio ho dovuto dimostrare di essere un buon medico, che non fossi disabile anche mentalmente. Purtroppo l’arretratezza culturale in Italia fa si che non si riesca neanche a distinguere tra le varie patologie, le disabilità cognitive, quelle motorie”.

E per aumentare la consapevolezza la soluzione è sempre una: parlarne, aumentare l’informazione. “La nostra società tratta il disabile come un eroe, come un’eccezione. Babe Vio, Zanardi, guardate come sono forti. Non funziona così. Noi non viviamo di eccezioni ma di quotidianità, perché ognuno è libero di essere diverso”. Lo sradicamento della figura dell’eroe, che viene ricalcato anche nei social mainstream è parte integrante di un miglioramento della qualità della vita anche dei più giovani. “In questo periodo storico serve trattare l’aspetto della violenza psicologica, soprattutto sul genere femminile disabile – afferma Manuela -. C’è una percentuale molto alta di ragazze vessate sia mentalmente che fisicamente perché pensano di non valere abbastanza. Oggi i social possono essere un facile veicolo di violenza ad una ragazzina nata in carrozzina”. Come cantava ad inizio anni Novanta il gruppo Salt-n-Pepa: “Let’s talk about sex, baby. Let’s talk about you and me. Let’s talk about all the good things and the bad things the may be”.

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