Diritti

Normalità e disabilità sono categorie mentali: barriere che condizionano il pensiero

di Francesca Carone

E poi ci sono loro, le persone disabili che ci guardano, ci osservano, ci scelgono, nonostante tutto e dopotutto. Ci sono gli sguardi di Margherita. I lunedì mattina a scuola. Il suo sorriso. La sua semplicità e la sua purezza che si stagliano nitide sulle costruzioni sconnesse delle cosiddette persone “abili”: abili nel costruire intrecci di conformismo burocratico con una abnegazione di facciata verso i più fragili, svuotata di umanità ed empatia.

La disabilità non è il luogo comune di una richiesta di aiuto. È diversità nell’accezione di risorsa; è sguardo, è bellezza, è presenza silenziosa che chiede in un silenzio di mille parole.

Dialogare con la disabilità non è per tutti e non è da tutti; occorre farlo in punta di piedi, sussurrando, alzando piano piano lo sguardo per non sembrare troppo invadenti o troppo finti. E’ saper capire gli sguardi, le attese, i pensieri di chi non vuole essere aiutato con le fredde procedure e indicazioni di una diagnosi, ma da chi è capace di guardare con gli occhi della normalità. È un camminare insieme, a volte senza dirsi niente.

La disabilità è soprattutto Presenza empatica. E’ Viaggio fatto di emozioni. E’ reciprocità di gesti e di sguardi. E’ complicità. E lui, il cosiddetto “disabile”, aspetta sempre con pazienza chi è di fronte a lui: è capace di aspettare ore, mesi, anni. Attende fiducioso che i cosiddetti normali depongano paure e pregiudizi. Che riescano a guardarlo negli occhi e a connettersi con la sua normalità e umanità. Perché, a volte, invisibile è chi è vicino. E chi è lontano è invece vicinissimo: semplicemente perché ha toccato le corde del cuore e si palesa in tutta la sua umanità, anche in una foto vecchia e sbiadita.

Giovanni quando apre il quaderno abbraccia sempre quella vecchia foto della nonna. Insieme a tutto il quaderno. Però intorno a Giovanni ci sono tante presenze. Tanti visi. Tanti sguardi. Giovanni però ha voglia di abbracciare solo quella foto. Solo quel quaderno.

In realtà bisognerebbe parlare di “normabilità” più che di disabilità. Ossia la ricerca di normalità nella disabilità. Per superare il concetto di disabilità bisognerebbe legarlo a quello di normalità. Una normalità a 360 gradi, che abbracci tutte le disabilità rendendole normali. Perché una “normalità” che non è in grado di confrontarsi con una “disabilità” è anch’essa una disabilità, nella sua accezione deteriore. NORMALITA’ E DISABILITA’ sono categorie mentali, barriere, muri che condizionano il pensiero. Che pongono tutto su un piano di razionalità. Spesso infatti di disabilità/normalità si ragiona con la testa e non col cuore!

Bisognerebbe trovare un lessico nuovo. Un lessico che provenga dalle emozioni, dal cuore, dai sentimenti puri che albergano in un uomo. Svilire la disabilità ad una mera condizione fisica vuol dire sottoporla ad una Pietas forzata e obbligata che crea distacco emozionale e brucia connessioni. E la razionalizzazione della disabilità lasciamola pure alla burocrazia medica. Riappropriamoci invece della bellezza della disabilità intesa come diversità. E se anche la diversità non dovesse andar bene, allora parleremo di solidarietà, di reciprocità, di fratellanza, di empatia, di condivisione… ma alla fine l’unica vera parola per ricordare che siamo diversi ma tutti uguali è una soltanto: umanità.

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