Di qui al 2050 l’Italia avrà una riduzione della popolazione di 4 milioni e mezzo di abitanti: è come se Roma e Milano insieme scomparissero nel giro di pochissimo tempo. E avremo quasi 8 milioni di persone in età attiva lavorativa in meno. Questo avrà un impatto negativo sulla nostra capacità produttiva di generare valore, di redistribuire ricchezza, di sostenere il debito pubblico, di reggere finanziariamente la spesa sociale, ovvero pensioni, sanità, assistenza”. Sono le allarmanti parole pronunciate ai microfoni di Uno, Nessuno, 100Milan (Radio24) da Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, che nella sua relazione annuale del 2023 ha consegnato un referto schiacciante della situazione italiana: l’84% degli italiani è impaurito dal clima impazzito, il 73,4% teme per il futuro, il 60% ha paura dell’esplosione di un conflitto globale.

Valerii spiega: “Siamo un paese di sonnambuli: apparentemente rigidi ma ciechi di fronte ai presagi. Ci sono dei processi sociali ed economici che sono largamente prevedibili nei loro effetti, ma rispetto ai quali non si prendono decisioni utili ed efficaci. Il caso emblematico è la radicale e profonda transizione demografica che stiamo vivendo. Eppure questa questione è stata a lungo rimossa oppure affrontata con un certo fatalismo, con la scusa che riguardi tutte le società occidentali opulente. E invece non è così”.

Il direttore del Censis snocciola alcuni esempi di paesi europei che hanno affrontato con mirate politiche sociali la denatalità, dalla Francia alla Germania fino alla Svezia. E aggiunge: “Le soluzioni esistono. Invece in Italia siamo in questa sorta di paralisi: passiamo da un’onda emotiva all’altra e ogni cosa per noi è un’emergenza. La crisi demografica italiana è la spia di una profonda incertezza sulle prospettive future”.

E si sofferma sulle motivazioni di questo diffuso e crescente pessimismo tra gli italiani: “Negli ultimi 30 anni, se facciamo il confronto tra il 1990 e il 2020, l’Italia è l’unico tra i paesi sviluppati che ha registrato una riduzione di quasi del 3% delle retribuzioni medie lorde annue. Nello stesso arco di tempo, ad esempio in Francia e in Germania, sono aumentate di oltre il 30%, nel Regno Unito di oltre il 40%. Quindi, ci sono delle specificità italiane che riguardano non solo i ceti popolari, ma anche porzioni importanti del ceto medio, che in qualche modo hanno introiettato la consapevolezza del fatto che l’ascensore sociale è bloccato“.

Valerii osserva: “Nel nostro rapporto parliamo del “tempo dei desideri minori”, cioè non prevale più l’inseguimento di condizioni di agiatezza e di prosperità, che era una caratteristica tipica del nostro vecchio modello di sviluppo. Ma si guardano di più i desideri minori, cioè si tende a mirare alla conquista di uno spicchio di benessere nel quotidiano. Ad esempio, il lavoro, che prima era stato il perno centrale dell’esistenza degli italiani, oggi ha una specie di declassamento nelle priorità esistenziali“.

E conclude: “La strategia alternativa è quella adottata da molti giovani: ricercare un appagamento delle proprie aspettative lavorative o personali all’estero. Sfatiamo un luogo comune: l’Italia continua a essere un paese di emigrazione più che di immigrazione. In questo momento 5,9 milioni di italiani sono residenti all’estero a fronte dei 5 milioni stranieri residenti nel nostro paese. Ogni anno abbiamo flussi di espatrio tra le 80mila e 100mila persone, prevalentemente giovani, spesso laureate”.

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