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Anna Esposito, dopo 22 anni restano ancora dubbi sul “suicidio” del capo della Digos che stava indagando su Elisa Claps

Il giorno in cui è stata ritrovata suicida, Anna avrebbe dovuto incontrare il fratello di Elisa, Gildo Claps, a cui lei stessa aveva chiesto un incontr

Un giallo nel giallo continua a tingere di nero la città di Potenza. È incastonato da 22 anni nel destino tragico di Elisa Claps, la sedicenne uccisa da Danilo Restivo nella chiesa della Santissima Trinità dov’è rimasta sepolta per 17 anni, fino al ritrovamento, nel marzo del 2010. È il caso di Anna Esposito, dirigente della Digos di Potenza, morta in circostanze ambigue l’11 marzo del 2001, otto anni dopo l’omicidio di Elisa. Anna è salernitana, di Cava de’ Tirreni, e nel 2001 ha solo 35 anni. Da quando è a capo della Digos del capoluogo potentino, alloggia all’ultimo piano della caserma Zaccagnino dove rientra quella domenica, giorno che tristemente la lega alla protagonista di questa storia oscura, Elisa, morta anche lei nel giorno di festa settimanale. Anna l’ha trascorso con le sue figlie, i genitori e l’ex marito.

Sono quasi le otto di sera quando rassicura sua madre di essere arrivata a Potenza, le dice che sta per andare a Matera perché invitata a una festa a cui però Anna non prenderà parte. All’indomani tarda ad arrivare in ufficio, e non risponde al telefono. I suoi colleghi fanno irruzione nel suo appartamento dove la trovano distesa, sul pavimento del corridoio, senza vita. La sua casa si riempie di poliziotti che però non hanno cura di salvaguardare la scena del tragico ritrovamento. La compromettono irreversibilmente. Anna è vestita e intorno al collo ha il cinturone della divisa con cui si sarebbe impiccata alla maniglia della porta. Eppure c’è un dettaglio, rilevato dai medici legali della sua famiglia, che stride con il suicidio: l’osso cricoide è spezzato. Un osso di piccolissime dimensioni che difficilmente si potrebbe essere rotto attraverso l’impiccagione ma che indica un’altra ipotesi, lo strangolamento alle sue spalle.

Le indagini

La Procura apre un fascicolo per istigazione al suicidio ma in dieci mesi il Pm Claudia De Luca chiede di archiviare le indagini, nonostante alcune coincidenze decisamente inquietanti. La prima: dal suo diario di lavoro sono state strappate delle pagine. L’altra è ancora più oscura: il giorno in cui è stata ritrovata suicida, Anna avrebbe dovuto incontrare il fratello di Elisa, Gildo Claps, a cui lei stessa aveva chiesto un incontro. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Lo scrive un coraggioso cronista, Fabio Amendolara, che aveva approfondito il caso nelle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, nel libro “Il segreto di Anna. Inchiesta su un suicidio sospetto“. Amendolara ha riportato nel suo libro ciò che gli aveva raccontato Gildo Claps: “Proprio il giorno prima che Anna venisse trovata senza vita, mi chiamò. Al telefono mi disse: “Ciao Gildo, vorrei fare un corso d’inglese e avrei bisogno di alcune informazioni sulla tua scuola, ma preferirei che me ne parlassi di persona. Se per te non è un problema potremmo incontrarci domani pomeriggio?’. In effetti mi sembrò una richiesta strana. Ma le risposi che non avevo impegni e per questo rimanemmo d’accordo che ci saremmo visti l’indomani”. A quell’appuntamento però Anna non è mai potuta andare.

È un delitto al cento per cento e d’altro canto è la medesima Cassazione a sostenerlo”: è l’ipotesi di Amendolara. Perché dice questo? Nel 2017, la Corte di Cassazione ha respinto l’opposizione al proscioglimento da parte del giudice delle indagini preliminari di Potenza delle indagini presentata dai familiari di Anna ma ha affermato, nella motivazione della sentenza – si è scritto sul giornale online L’Ora Legale – “che il giudizio del gip non è affatto basato sulla manifesta erroneità o insostenibilità delle tesi scientifiche sostenute dai consulenti nominati dalla persona offesa” e cioè l’omicidio. Però non si indagò più, nemmeno sulle minacce di morte ricevute dalla Esposito. C’è ancora un fatto e non è trascurabile: a farlo emergere è stato, in un’intervista, don Marcello Cozzi, il sacerdote che insieme al presidio di Libera della Basilicata ha combattuto insieme alla famiglia Claps per ottenere verità e giustizia su Elisa, una verità ancora coperta da una coltre spessissima di omertà. Don Marcello avrebbe raccontato che all’indomani del duplice omicidio di un malavitoso locale, Pinuccio Gianfredi e di sua moglie Patrizia Santarsiero avvenuto a Potenza il 29 aprile del 1997, Anna avrebbe convocato un vicino di casa della vittima a cui avrebbe mostrato le foto di alcuni criminali locali, nonché di politici e notabili della città.

Gianfredi era stato ritenuto legato al comitato politico al centro dell’inchiesta – poi archiviata – sulle “Toghe Lucane”, condotta al tempo da Luigi De Magistris, tesa a smascherare i legami poco chiari tra la magistratura lucana e alcuni politici. Secondo quanto emerso all’epoca dalle dichiarazioni di un pentito, Gennaro Capiello (poi ritenute non attendibili), Gianfredi era stato tirato dentro anche nell’occultamento del corpo di Elisa Claps, nascosto sotto tegole e materiale di risulta per 17 anni nel sottotetto della centralissima chiesa di via Pretoria sul cui soffitto erano stati magistralmente praticati dei fori per far fuoriuscire i miasmi che ne avrebbero segnalato la presenza. Perché il vice parroco di quella chiesa testimoniò all’epoca sul suicidio di Anna Esposito? Perché la poliziotta voleva incontrare Gildo Claps nel giorno stesso in cui si sarebbe suicidata? La madre di Anna, Olimpia Magliano, ha inoltre sempre affermato che pochi giorni prima di morire la figlia le avrebbe confidato che in questura qualcuno sapeva dov’era nascosto il corpo di Elisa. Questo Anna, non ha fatto in tempo a scoprirlo perché è morta ben nove anni prima.