Le cifre del nuovo contratto televisivo firmato dalla Premier League per il quadriennio 2025-2029 sono strabilianti – 7,8 miliardi di euro complessivi, 1,95 a stagione –, ma la festa non finisce qui, considerato che a questa montagna di denaro si aggiungeranno gli introiti dei diritti da piazzare all’estero. Dopo gli applausi doverosi all’amministratore delegato Richard Masters, bisogna chiedersi ancora una volta: perché la nostra Serie A, per due decenni il campionato più seguito al mondo, è sprofondata ai livelli attuali e non riesce, soprattutto, a risollevarsi? E’ solo colpa dell’annosa questione stadi, che ci pone oggi nelle retrovie d’Europa?
Il nuovo contratto della Premier, con un aumento del 4% rispetto a quello precedente, rappresenta una sorpresa perché si pensava che non fosse possibile alzare ulteriormente il tetto. L’accordo quadriennale del 2019, prolungato fino al 2025 dopo la tempesta Covid, aveva acceso una spia nel sistema inglese. Per la prima volta, dopo un quarto di secolo abbondante di continuo rialzo, il fronte dei diritti interni si era fermato. A tenere alto il cartellone erano intervenuti i diritti esteri, ma in Inghilterra non hanno perso tempo in festeggiamenti e si sono posti il problema: se con l’attuale sistema televisivo siamo arrivati al limite, bisogna perlustrare nuove strade. Nel contratto del 2019 si era affacciata per la prima volta Amazon, con la diffusione delle gare nel Boxing Day. Sembrava l’indizio di una nuova via, ma nell’accordo ufficializzato il 4 dicembre, Amazon non compare. Si è chiamata fuori. La grande vincitrice è Sky UK: trasmetterà 215 match a stagione, aumentando di 100 partite l’offerta attuale. In generale, è stato ampliato il palinsesto: da 200 a 270 gare complessive. Sono escluse solo le gare delle 16 italiane, un sacro totem del calcio inglese, codificato da un’antica legge. Nel contrattone del 4 dicembre, ci sono le firme anche della BBC, che continuerà a trasmettere il sabato sera il match of the Day e avrà una serie di diritti sul digitale. TNT trasmetterà invece 52 gare a stagione: tutte le gare delle 13.30 e due turni infrasettimanali.
Il commento di Richard Masters, nella sua ovvietà – intesa come legittima soddisfazione – ribadisce, in realtà, i punti cardine dell’appeal del calcio inglese: “Il risultato di questo processo sottolinea la forza della Premier League ed è la testimonianza di come i nostri club, i giocatori e i manager continuino a offrire il football più competitivo del mondo, in stadi pieni e con un’atmosfera senza eguali ogni settimana”. Come dargli torto? Per rendere l’idea: mentre il 12 novembre andava in scena il derby romano (0-0), allo Stanford Bridge Chelsea-Manchester City finiva 3-3. Sabato scorso, in Italia c’erano Lecce-Genoa 1-1 e Lazio-Cagliari 1-0. La Premier rispondeva con Arsenal-Wolverhampton 2-1, Burnley-Sheffield United 5-0, Brentford-Luton 3-1. Domenica 3 dicembre, un’apoteosi di gol e spettacolo in Chelsea-Brighton 3-1, Manchester City-Tottenham 3-3, Liverpool-Fulham 4-3, Bournemouth-Aston Villa 2-2.
Il primo elemento, scontato, che spiega le ragioni di un contratto televisivo superiore di due volte abbondante a quello italiano – 900 milioni a stagione – è la qualità del calcio espresso dalle squadre. Le emittenti pagano lautamente un prodotto che non tradisce mai. Ma le ragioni del fiume di denaro che si riverserà ancora una volta sulla Premier League e consentirà di vivere serenamente la sfida della Saudi Pro League, sono diverse. Una su tutte: la linea comune dei presidenti. In Italia litigano, si dividono, si colpiscono spesso a tradimento e guardano a un metro, mai verso l’orizzonte. In Inghilterra, i proprietari non sono amici, ma sanno compattarsi di fronte a un obiettivo comune, mettendo da parte le loro beghe. C’è una diversa cultura imprenditoriale e anche la tendenza ad agire in silenzio: le dichiarazioni “sbracate” dei nostri signori del calcio nell’universo Premier sono sconosciute. Come ama ripetere Claudio Ranieri, “in Italia in sessanta milioni siamo divisi, in Inghilterra in due fanno un popolo”.
E poi c’è la cornice. In Inghilterra la battaglia al razzismo è una cosa seria. Gli episodi di violenza non sono tollerati: le leggi per contrastarle sono applicate in modo ferreo. Il prodotto viene difeso e protetto in mille modi, compresa la qualità e la sobrietà dei commentatori televisivi: chi parla di fronte alle telecamere è documentato e preparato. La percezione, all’estero, è quella di un grande spettacolo. La Premier non è l’eden – i prezzi dei biglietti sono salati, andare allo stadio sta diventando una spesa sempre più consistente -, ma prevale l’immagine positiva. Spettacolo in campo, spettacolo fuori, negozi e ristoranti degli stadi sempre pieni nei giorni delle partite: risultato finale, club con le casse piene. In Inghilterra la nave del calcio va. La Serie A sta a guardare e non solo colpa della questione stadi.