Scienza

Euclid, il telescopio dell’Agenzia spaziale europea che ci dirà di più sull’universo oscuro

Altezza 4,5 metri, diametro circa 3,1. Massa 2100 kg. Parcheggiarlo non è stato del tutto semplice. Date le spalle al sole, andate a 1,6 milioni di chilometri dalla terra – ci vuole più o meno un mesetto – e trovate il punto di Lagrange L2. Località speciale, non per nulla il James Webb Space Telescope è suo vicino di posto, dove la forza di gravità esercitata dalla terra e dal Sole bilancia la forza centrifuga. Il che rende il parcheggio quasi stabile.

Stiamo parlando di Euclid, il telescopio dell’Agenzia Spaziale Europea, la cui missione è la raccolta dati per costruire la mappa di 1,5 miliardi di galassie fino alla distanza di 10 miliardi di anni luce, ovvero più del doppio dell’età del sistema solare.

Come è facile intuire, il suo nome lo deve a Euclide di Alessandria (circa 300 AC), matematico greco vissuto ai tempi di Alessandro il Grande, autore di “Elementi”, trattato di geometria e di teoria geometrica dei numeri (in greco arithmos = numero). Euclide è l’”inventore” della “geometria euclidea”, che poi è quella dell’universo. L’universo infatti è piatto, non ha curvatura. Le linee parallele rimangono tali all’infinito e la somma degli angoli interni di qualsivoglia triangolo è pari a 180 gradi.

Ora che Euclid è in L2, i propulsori di bordo servono solo per gestire il suo posizionamento esatto e dunque il puntamento. A tale proposito, dopo avere inviato, a fine luglio 2023, le prime magnifiche immagini dello spazio profondo, si sono verificati dei problemi, risolti aggiornando il software di bordo, ed è stato anche necessario riprogrammare la campagna di osservazione per evitare effetti indesiderati della luce solare diffusa.

Alla fine di novembre il sistema ha completato la cosiddetta performance verification. Il sistema fa ciò che gli viene richiesto in modo corretto. Euclid è pronto a raccogliere, nei prossimi sei anni, i dati che aiuteranno a rispondere a una serie di domande relative all’universo: quale è la storia della sua espansione; come si formano le grandi strutture; quale è la distribuzione della materia oscura; quale è la natura dell’energia oscura; l’equazione di stato dell’energia oscura varia in funzione del tempo?

Per farlo utilizza due metodi di osservazione. Il primo è la “lente gravitazionale debole” per determinare l’effetto dell’energia oscura misurando le distorsioni delle immagini delle galassie dovute a disomogeneità di massa lungo la linea di osservazione. La lente gravitazionale debole è dunque un metodo per mappare la distribuzione della materia oscura.

Il secondo è quello delle “oscillazioni acustiche barioniche (BAO, Baryonic Acoustic Oscillations). In cosmologia, le BAO sono fluttuazioni della densità della materia barionica presente nell’universo, causate da onde di densità acustiche presenti nel plasma primordiale del primo universo, poco dopo il Big Bang. Sono modelli di oscillazione, impressi nella distribuzione delle galassie e dei cluster di galassie, che forniscono un “righello” standard per misurare l’espansione dell’Universo e dunque l’accelerazione causata dall’energia oscura.

Euclid osserverà l’universo nella modalità “step-and-stare”, ovvero “fai un passo, fermati e guarda”. Ogni 0,5 gradi al quadrato (unità di misura di un anglo solido, usata per misurare parti di una sfera), si ferma, osserva, raccoglie dati e passa alla posizione successiva. A titolo di informazione, visto dalla terra il Sole ha diametro pari a mezzo grado (analogo a quello della Luna piena) e copre 0,2 gradi al quadrato. Nel complesso, Euclid coprirà 15mila gradi al quadrato di cielo spaziale, più del 35 per cento del totale. Inoltre svolgerà, in tre settori diversi, per un totale di 40 gradi al quadrato, osservazioni “particolari”, con profondità di due ordini di grandezza maggiore di quella “ampia” sopra descritta.

Euclid permetterà dunque agli scienziati di sapere qualcosa di più sull'”universo oscuro”. Infatti uno dei suoi obiettivi principali è quello di mappare accuratamente il redshift della galassia, ovvero lo “stiramento” della luce verso lunghezze d’onda più rosse quando un oggetto si allontana da noi, come avviene quando l’universo si espande in tutte le direzioni. La legge di Hubble dice che la distanza di una galassia è correlata alla velocità con cui l’espansione dell’universo porta quella galassia lontano da noi. Quanto maggiore è la velocità di recessione, tanto più distante è la galassia e maggiore lo spostamento verso il rosso. Quindi, misurare tale spostamento permette di valutare il tasso di espansione dell’universo e di conseguenza la forza dell’energia oscura nell’accelerare tale espansione.

Si spera che Euclid sia in grado di farci migliorare la comprensione dell’universo, alquanto lacunosa, dato il problema, grosso assai, che affligge la cosmologia: se si tiene conto solo della materia e dell’energia che possiamo vedere, misurare o rilevare, i conti non tornano.

La teoria della relatività generale di Albert Einstein, che descrive le “regole” fisiche dell’universo in una serie di equazioni, è valida a scala dell’universo se e solo se c’è una quantità di materia dispersa nel cosmo cinque volte superiore a quella che possiamo vedere, misurare o rilevare. I casi sono due: o la teoria è errata, oppure è corretta e allora manca qualcosa.

Questa materia invisibile, o materia oscura perché non interagisce con forme di radiazione elettromagnetiche conosciute, insieme a un’altra entità invisibile, l’energia oscura, costituisce il più grande problema da risolvere nello studio delle origini dell’universo.

Mentre la materia oscura unisce le cose attraendole con la forza di gravità, l’energia oscura – che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa – sembra fare esattamente il contrario, allontanandole e causando l’accelerazione dell’espansione dell’universo, scoperta per la prima volta nel 1998. Il responsabile della ricerca, l’astronomo statunitense Saul Perlmutter, nel 2011 ha ricevuto il premio Nobel per la Fisica.

Insieme, energia oscura e materia oscura rappresentano il sorprendente 95 per cento della “roba” presente nell’universo, “roba” di cui sappiamo poco o nulla.

Ci vorranno anni per saperne di più. Per ora tutti i modelli indicano l’esistenza di un’energia oscura costante e diffusa uniformemente in tutto il cosmo. Alcune evidenze sperimentali, tuttavia, suggeriscono che le cose potrebbero non essere così semplici. La costante di Hubble che descrive la velocità di espansione dell’universo non sembra essere la stessa nel cosmo vicino, come lo è in quello lontano, primordiale. Un possibile indizio della necessità di riconsiderare i modelli cosmologici. Forse non solo quelli.