Attraverso una sua nuova ricerca, Amnesty International ha rivelato che due Joint direct attack munitions (Jdam, munizioni guidate di precisione) made in Usa sono state usate dall’esercito israeliano per compiere due attacchi mortali e illegali contro abitazioni piene di civili nella Striscia di Gaza occupata.
Il 10 ottobre, a Deir al-Balah, un attacco aereo contro l’abitazione della famiglia al-Najjar ha ucciso 24 persone. Il 22 ottobre, nella stessa località, un secondo attacco contro le abitazioni della famiglia Abu Mu’eileq ha ucciso 19 persone. Deir al-Balah si trova a sud del Wadi Gaza. Questo attacco, dunque, è avvenuto nella zona verso la quale, il 13 ottobre, Israele aveva ordinato di evacuare dal nord della Striscia di Gaza. I due attacchi hanno ucciso 43 civili: 19 bambini, 14 donne e 10 uomini. I sopravvissuti hanno riferito che in entrambi i casi non c’era stato alcun preavviso di un attacco imminente.
Amnesty International non ha rinvenuto alcuna indicazione che nei luoghi degli attacchi vi fossero obiettivi militari o che le persone all’interno delle abitazioni fossero legittimi obiettivi militari e ciò fa temere che i due bombardamenti siano stati attacchi diretti contro i civili.
Ma anche se avessero inteso colpire obiettivi militari – cosa su cui Israele non ha ancora fornito alcuna informazione – l’uso di armi esplosive con effetti su vaste aree in zone così fittamente popolate porterebbe alla conclusione che si sia trattato di attacchi indiscriminati. Nell’uno e nell’altro caso, dovrebbero essere indagati come crimini di guerra.
Esperti in materia di armi e analisti da remoto di Amnesty International hanno analizzato immagini satellitari e fotografie, scattate dai ricercatori sul campo, che mostrano la distruzione causata dai due attacchi e frammenti delle munizioni recuperati tra le macerie. Considerati gli ingenti danni alle abitazioni centrate e a quelle vicine, la bomba che ha colpito la famiglia al-Najjar pesava almeno 2000 libbre (circa 907 chili), quella che ha distrutto la famiglia Abu Mu’eileq almeno 1000 libbre (almeno 453 chili).
Le fotografie dei frammenti di metallo mostrano chiaramente i caratteristici rivetti e i sistemi di bardatura che fanno parte del rivestimento di una Jdam. I codici stampati sulle loro basi, 70P862352, sono associati alle Jdam e al loro produttore, Boeing. Da ulteriori codici si è potuto evincere che la Jdam che ha ucciso membri della famiglia al-Hajjar era stata prodotta nel 2017, quella che ha ucciso membri della famiglia di Abu Mu’eileq nel 2018.
Il 21 novembre Amnesty International ha inviato una serie di domande riguardanti i due attacchi al portavoce dell’esercito israeliano ma finora non ha ricevuto alcuna risposta.
L’attacco all’abitazione della famiglia al-Najjar
Intorno alle 20.30 del 10 ottobre un attacco aereo israeliano ha ucciso 21 componenti della famiglia al-Najjar nella loro abitazione di Deir al-Balah. Sono stati uccisi anche tre vicini di casa.
Suleiman Salman al-Najjar (48 anni), proprietario di una rivendita di automobili e di un negozio di riparazioni, ha riferito ad Amnesty International di aver perso la moglie, Susanne Subhi Asalam Najjar (40 anni), le loro figlie Safa (17 mesi) e Farah (23 anni) e i loro figli Yazan (14 anni) e Nadim (20 anni).
Ecco il suo racconto:
“Non mi sentivo bene e sono andato all’ospedale dei Martiri di al-Aqsa, che si trova a circa due chilometri di distanza. Ho problemi ai reni e il dolore stava peggiorando così ho deciso di andare lì per farmi fare un’iniezione prima che arrivasse la notte. Dopo l’iniezione ho ripreso l’auto per tornare a casa. Ho accostato per salutare un amico. Mentre stavano parlando abbiamo sentito una grande esplosione. Non sapevo dove, non immaginavo potesse essere casa mia. Così ho proseguito a chiacchierare fino a quando qualcuno mi ha detto che la mia abitazione era stata appena bombardata. Ero scioccato. Sono corso a casa e ho visto scene di totale disperazione. Non potevo credere ai miei occhi. Tutti erano sotto le macerie, la casa era completamente ridotta in polvere, i corpi erano a pezzi. Solo quello di mio figlio Nadim è stato recuperato intero. Della mia piccola Safa abbiamo trovato solo una mano. Ora io e gli unici due figli sopravvissuti viviamo in una tenda vicino alle macerie dell’abitazione. Le nostre vite sono state distrutte in un attimo. Una cosa inimmaginabile ora è diventata la nostra realtà.
Sono rimasti uccisi anche tre vicini di casa della famiglia al-Najjar: Yousef Baker Abu Traya (29 anni), Layla Said Ahmad al-A’awar 42 anni) e sua figlia Jana Hani al-A’awar (sette anni). Le immagini satellitari riprese prima e dopo l’attacco, nelle mattine del 10 e del 13 ottobre, hanno confermato la distruzione dell’edificio.
L’attacco all’abitazione della famiglia Abu Mu’eileq
Alle 24 del 22 ottobre, tre appartamenti appartenenti ad altrettanti fratelli Abu Mu’eileq e alle loro famiglie sono stati colpiti da un attacco aereo a nord di Deir al-Balah. Sono stati uccisi 18 componenti della famiglia Abu Mu’eileq (12 bambini e sei donne) e il vicino di casa Rajab Ghazi Mezyed.
Questa è la testimonianza resa ad Amnesty International da Samaher Abu Mu’eileq:
“Avevo lasciato la casa dove vivevano mia cognata, i miei nipoti e le mie nipoti, appena un minuto prima. Dopo aver sceso le scale, stavo aprendo la mia porta di casa quando l’abitazione accanto, quella di mio fratello, è stata bombardata. La forza dell’esplosione mi ha fatto sbattere contro la porta e mi sono ferito al volto e al collo. Non capisco perché quella casa sia stata bombardata. Hanno ucciso donne e bambini. Qual è il motivo di un tale crimine contro i civili?”
Il fratello di Samaher, Bakir Abu Mu’eileq, un otorinolaringoiatra, ha perso la moglie Islam Najid Abu Mu’eileq (34 anni), le figlie Do’a (16 anni) e Lama (11 anni) e i figli Ghanem (14 anni) e Mohamed (13 anni).
Al momento dell’attacco, Bakir Abu Mu’eileq stava lavorando in un ospedale nei pressi della casa di famiglia. Questo è il suo racconto:
“Siamo tre fratelli sposati con tre sorelle, viviamo insieme, pensiamo alla famiglia e al lavoro e stiamo lontani dalla politica. Siamo medici e uomini di scienza, pensiamo a vivere bene e a costruire un buon futuro per i nostri figli. Non possiamo capire perché le nostre case siano state bombardate. Non avevamo mai avuto alcun problema fino ad allora e lo stesso i nostri vicini. Non ci sono armi né politica qui. Le nostre vite sono state distrutte completamente, azzerate. Perché? I corpi erano a pezzi, abbiamo ritrovato solo piccole parti. Solo cinque corpi sono stati recuperati più o meno interi perché la forza dell’esplosione li aveva scagliati lontano. Siamo sotto shock. Quale futuro ci sarà ora per le mie figlie sopravvissute? Perché così tanta ingiustizia? Perché?”
Le immagini satellitari scattate a partire dal 22 ottobre hanno confermato i danni procurati agli edifici.