L’intera faccenda ha un andamento ciclico e facilmente prevedibile. Perché l’assunto viene dapprima rispolverato, poi elevato a sistema e infine rapidamente dimenticato. Succede praticamente dopo ogni sconfitta della Nazionale. Ma anche in seguito alle vittorie più strazianti e sofferte degli azzurri. È andata così anche qualche settimana fa, quando l’Italia che fu di Mancini e che ora è di Spalletti ha conquistato il pass per Euro 2024 fra indicibili sofferenze. I club della Serie A, si è detto in quell’occasione, tendono a ignorare i ragazzi formati nei propri vivai per imbottire le proprie rose di stranieri. Un concetto ripetuto talmente tante volte che ha finito per diventare frase fatta, spot elettorale. Almeno fino alla scorsa settimana. Sì, perché il Cies, l’osservatorio sul calcio con sede a Neuchâtel, in Svizzera, ha pubblicato uno studio che fotografa in presa diretta la situazione dei settori giovanili a livello internazionale. Prendendo in esame la percentuale di minuti concessi ai giocatori che si sono formati nei vivai dei club nazionali, il report stila una classifica globale fra le squadre di oltre sessanta campionati in giro per il mondo. E i risultati sono inquietanti. La Serie A, infatti, è l’ultima fra le cinque grandi leghe continentali (e la ventottesima in tutta Europa) per impiego dei “Club-trained players“. Sostanzialmente i club italiani hanno schierato i giocatori usciti dai propri settori giovanili solo per il 5.7% dei minuti totali disponibili. Peggio hanno fatto solamente la First Division cipriota (5.6%), la Super League greca (4.8%) e la Süper Lig turca (4.3%). Nello specifico, solo tre società dello Stivale hanno impiegato i calciatori cresciuti nel loro vivaio per più del 10% dei minuti totali. In testa c’è l’Atalanta (18.7%), seguita dalla Juventus (11.4%) e dalla Roma (11.1%). Al contrario, Genoa, Frosinone e Salernitana non hanno mai mandato in campo un ragazzo del proprio settore giovanile.

La situazione in giro per l’Europa è molto diversa. In Spagna, accantonando le utopie in maglietta e calzoncini come Athletic Bilbao (68.9%) e Real Sociedad (45.4%), ci sono altri 8 club che hanno dato spazio ai propri giovani in un percentuale che oscilla dal 36.3% del Real Madrid fino al 13.6% del Siviglia. In Ligue 1, invece, i club in doppia cifra sono addirittura dieci, mentre in Premier League sono sette.

Il dato più interessante, però, è un altro. Perché non è vero che a schierare i prodotti del vivaio siano i club più piccoli, quelli con meno capacità di spesa sul mercato e, di conseguenza, costretti a sperimentare e a scommettere sui diamanti grezzi. L’Atalanta è al ventesimo posto fra le società dei cinque maggiori tornei continentali per minuti concessi a giocatori cresciuti nel proprio settore giovanile. Ma prima della Dea ci sono club dal blasone pesantissimo come Real Madrid (quarto in graduatoria), Barcellona (nono), Arsenal (quattordicesimo), Atletico Madrid (diciassettesimo), Manchester United (diciottesimo) e Chelsea (diciannovesimo). Tutti club con una capacità di spesa che oscilla fra il sostanzioso e l’esagerato.

Quello che sembra un paradosso è invece il risultato di una tendenza molto particolare. E per comprenderlo va prima chiarito il concetto di “Club-trained players”. È un qualcosa di molto diverso dall’idea del ragazzino che comincia dai Pulcini di una società e arriva a debuttare con la prima squadra. Per giocatori formati nel club si intendono infatti quei calciatori che hanno trascorso almeno tre stagioni nella stessa società in un’età compresa fra i 15 e i 21 anni. Vinicius Junior, che è arrivato al Real Madrid nel 2018, a 18 anni, può essere considerato un giocatore formato nel settore giovanile delle Meringhe. Solo che è costato al club qualcosa come 61 milioni di euro. È la nuova frontiera di un mercato che da qualche anno vede i blancos staccare assegni monstre pur di accaparrarsi i migliori giovani in circolazione. È stato così anche per Rodrygo, acquistato a 18 anni per 45 milioni di euro, per Arda Güler, che l’estate scorsa, appena maggiorenne, è stato pagato 20 milioni più bonus, e per Camavinga, acquistato a 19 anni per 31 milioni più bonus. E sarà presto così anche per Endrick, che arriverà nella capitale spagnola il 21 luglio 2024, ossia quando avrà raggiunto la maggiore età, ma solo dopo il pagamento al Palmeiras di una cifra vicina ai 40 milioni di euro.

Si tratta di acquisti difficili da inquadrare. Perché da una parte rischiano di creare un mercato internazionale dove ragazzi sempre più giovani vengono acquistati per cifre sempre più alte. Ma dall’altra regalano ai club che si possono permettere quel tipo di investimento un vantaggio tanto nel breve quanto nel lungo periodo. Perché oltre a poter contare per più di un decennio sui migliori talenti in circolazione, le società più opulente possono riempire in maniera più performante le liste Uefa. La Lista A, ad esempio, deve essere riempita con almeno 8 giocatori “formati localmente”. Si tratta dei club trained players, ma anche dei giocatori che si sono formati nella federazione e di proprietà di un altro club della stessa federazione per tre anni tra i 15 e i 21 anni di età. Con una differenza ben precisa: ogni squadra potrebbe essere potenzialmente composta solo da club trained players, mentre i calciatori formati nella stessa federazione non possono essere più di quattro. Così, chi riesce a trasformare i migliori giocatori stranieri in club trained players ha la possibilità di formare rose più lunghe e più competitive rispetto agli avversari.

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