Meno posti letto aggiuntivi in terapia intensiva e subintensiva, nonostante la lezione della pandemia. Meno case di comunità, ospedali di comunità e Centrali operative territoriali, le strutture chiamate a coordinare la presa in carico della persona e fare da raccordo tra servizi e professionisti. E, in aggiunta, una riduzione del numero di strutture ospedaliere che saranno sottoposte a interventi di rafforzamento antisismico. La revisione del Pnrr proposta dal governo Meloni e approvata con diverse modifiche dalla Commissione europea a fine novembre ridimensiona anche le ambizioni della missione salute: il valore complessivo resta di 15,6 miliardi, ma l’aumento dei costi delle materie prime e i ritardi nelle forniture hanno reso necessario un taglio degli investimenti realizzabili con quei soldi. Il governo ha promesso che quel che non si potrà fare con i soldi del Next Generation Eu verrà realizzato con le risorse del programma di investimenti in edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico o riprogrammando fondi di coesione. Ma è evidente che la realizzazione diventa in questo modo più incerta e i tempi saranno in ogni caso assai più lunghi.
Le case della comunità, “luoghi fisici di prossimità e facile individuazione dove la comunità può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale”, saranno solo 1.038 e non 1.350 anche se il finanziamento rimane pari a 2 miliardi. Comunque più delle 936 ipotizzate dal governo in estate, nella proposta di revisione. Le Centrali operative territoriali scendono a 480 contro le 600 previste nel 2021. Gli ospedali di comunità, strutture territoriali di ricovero per “interventi sanitari a bassa intensità clinica”, passano da 380 a 307. Ridotto anche, da 109 a 84, il numero di ospedali che potranno essere rafforzati dal punto di vista della resistenza ai terremoti. Quanto ai nuovi posti letto, scendono da 3.500 a 2.692 quelli in terapia intensiva e da 4.225 a 3.239 quelli in semi-intensiva da rendere disponibili entro metà 2026. L’incremento rispetto alla situazione pre Covid sarà del 60% e non del 70% previsto. Ciliegina sulla torta, il target relativo all’installazione delle grandi apparecchiature sanitarie – dalle Tac ai mammografi – sarà rinviato dal 31 dicembre 2024 al 30 giugno 2026.
Il ministero della Salute rivendica che in compenso viene incrementato di 250 milioni di euro l’investimento per la presa in carico a domicilio degli over 65 e il numero delle persone coinvolte sale da 800mila a 842mila. Aumentano poi di 500 milioni di euro le risorse per la Telemedicina, e il target finale passa da 200mila a 300mila pazienti assistiti entro il termine del 2025. Ma Nino Cartabellotta, presidente del Gimbe, ha fatto notare che l’implementazione “è condizionata dall’inserimento delle varie prestazioni nei livelli essenziali di assistenza, che oggi includono solo la tele-neuroriabilitazione”.
Non è ancora noto quali strutture saranno eliminate dall’elenco di quelle da realizzare entro il 2026. La stessa fondazione Gimbe, in un’analisi diffusa la settimana scorsa, ha evidenziato che “se ad essere espunte saranno quelle da realizzare ex novo, saranno prevalentemente le Regioni del Centro-Sud ad essere penalizzate”. Sarà quindi necessario trovare un meccanismo di perequazione “per evitare di lasciare indietro le Regioni meridionali nel processo di potenziamento e riorganizzazione dell’assistenza territoriale, visto che tra gli obiettivi trasversali del Pnrr vi è proprio la riduzione delle diseguaglianze regionali”. Quanto alla possibilità di rifinanziare case e ospedali di comunità con i fondi dell’ex. art. 20 della legge 67/1988, oltre ad essere già stato ritenuto non applicabile dalle Regioni, non trova traccia nel documento approvato dalla Commissione Europea”.