di Michele Sanfilippo
Oggi c’è veramente bisogno di sindacato. Lo dimostrano la assoluta volontà di non affrontare il tema del salario minimo, gli attacchi reiterati alla sanità e a ogni forma di sussidio. Io ho un gran rispetto per Maurizio Landini, che considero una persona onesta, ma non capisco se non voglia o non possa fare di più per riformare uno dei pochi corpi sociali rimasto immutato e immutabile dopo la Prima e la Seconda Repubblica.
Il mondo del lavoro da molti anni versa in condizioni piuttosto gravi: stipendi bassi, disoccupazione a due cifre, tutele per i lavoratori sempre più labili. Inoltre, l’intelligenza artificiale da un lato e la crescente automazione dall’altro costituiscono due ulteriori potenziali minacce per l’occupazione. Ma proprio perché c’è così tanto bisogno il sindacato deve essere più moderno e credibile.
Provo ad elencare qualche proposta. Sappiamo tutti bene che la cosiddetta “triade” era formata da Cgil, Cisl e Uil che, dal dopoguerra fino ai primi anni 90, erano le rappresentanze sindacali del Pci, Dc e Psi, i tre partiti che hanno dominato lo scenario politico di quegli anni. Nessuno di quei tre partiti ha retto all’urto della caduta del muro di Berlino mentre la triade ha continuato a praticare le stesse liturgie in un mondo che cambiava alla velocità della luce. Chiunque abbia lavorato a lungo in una grande azienda ha potuto constatare come la sindacalizzazione dei lavoratori, nel tempo, sia scesa gradualmente fino a diventare quasi assente nei (pochi) nuovi assunti degli ultimi due decenni.
Questa situazione pone però un grave problema: quando la triade va a trattare con l’azienda quanta parte dei lavoratori rappresenta?
Sicuramente poca ma nessuno sembra saperlo con certezza e neppure sembra che il problema interessi a qualcuno. Eppure dovrebbe essere il primo problema quello di non può non vedere i segni della propria estinzione per mancanza d’iscritti.
Un altro problema del sindacato italiano è l’incapacità di stare al passo con i tempi. Da almeno trent’anni i sindacati del Nord Europa hanno capito che per far leva sulle decisioni aziendali occorre essere presenti nei consigli di amministrazione e per farlo hanno puntato sull’azionariato diffuso dei propri iscritti. Quando ho provato a proporlo ai miei sindacalisti mi hanno risposto che fare proposte sulle politiche aziendali non era il loro compito ma casomai dell’azienda (sic!). Una risposta ottocentesca. Ma, voglio dire, le buone idee si possono anche copiare.
Ora vorrei parlare di solidarietà. Questo è un principio basilare che è stato il pilastro di ogni organizzazione sindacale ma sembra che sia sparito da ogni orizzonte attuale. Non si vede più uno sciopero di una categoria per solidarizzare con un’altra. Già i latini sapevano che “divide et impera” è il modo migliore per indebolire l’avversario ma sembra che il sindacato l’abbia dimenticato. Ma la solidarietà è importante anche in senso transnazionale. In un mondo in cui l’economia è globalizzata, il sindacato dovrebbe porsi l’obiettivo di globalizzare anche i diritti dei lavoratori.
Se le condizioni di lavoro non sono eque tra paese e paese è evidente che un’azienda andrà ad investire laddove il lavoro sarà meno costoso. Lo so, è difficile intervenire sulle politiche del lavoro di altri paesi ma, in passato, quando si voleva colpire un’azienda che non era attenta alle condizioni dei propri lavoratori la si faceva oggetto di boicottaggio e non si compravano i suoi prodotti. Si può ancora provare a farlo con un seguito adeguato.
Infine vorrei sottolineare come il sindacato spesso abbia anteposto il lavoro all’ambiente e non abbia capito che non si può e non si deve difendere il lavoro a tutti costi. Sono i lavoratori che vanno difesi a tutti i costi con misure di sussidio. Se il sindacato vuole recuperare fiducia e iscritti, soprattutto tra i giovani, a mio avviso, deve abbandonare le attuali posizioni di rendita e occuparsi dei lavoratori o aspiranti tali.