Il 3 dicembre scorso, poco dopo la fine della tregua a Gaza, le Forze di Difesa Israeliane hanno reso nota l’uccisione di Haitham Khuwajari, comandante del battaglione Shati di Hamas, che aveva preso parte agli attacchi del 7 ottobre. Le emittenti vicine all’Esercito hanno parlato di un “raid aereo di precisione”, in una giornata nella quale decine di palestinesi hanno perso la vita nei bombardamenti. “Niente accade in modo accidentale. Quando una bambina di tre anni viene uccisa dentro casa sua, nel corso di un raid su Gaza, è perché qualcuno nell’Esercito aveva precedentemente stabilito che poteva essere il prezzo da pagare per l’eliminazione di un target militare. Non siamo Hamas, non usiamo razzi imprecisi, tutto è intenzionale. Conosciamo esattamente la misura del danno collaterale“. Le raggelanti parole che fonti dell’Esercito israeliano in condizione di anonimato hanno rilasciato negli stessi giorni ai reporter di +972 e di Sikha Mekomit, un giornale israeliano online di orientamento progressista, gettano una luce ancor più sinistra sull’accuratezza dei raid e sull’impegno a risparmiare i civili. Ma Israele ha potuto portare la guerra a un nuovo stadio non solo accettando un numero maggiore di perdite civili, ma anche grazie all’intelligenze artificiale: un sistema altamente avanzato in grado di generare fino a 100 obiettivi militari al giorno. “Prima di averlo – raccontano testimoni in anonimato – potevamo trovarne al massimo 50 in un anno”.

Rispetto alle precedenti azioni militari su Gaza, l’operazione Spade di Ferro balza immediatamente agli occhi per i livelli di distruzione e per il numero di vittime. Sono oltre 16mila i palestinesi uccisi sinora, e all’11 novembre, secondo i dati dell’Onu, almeno 312 famiglie avevano perso almeno dieci familiari in un mese di bombardamenti (nella guerra del 2014 furono una ventina le famiglie a piangere un eguale numero di vittime), 189 avevano perso dai sei ai nove membri e altre 549 famiglie avevano perso da due a cinque membri.

“Metteremo l’enfasi sulla distruzione, non sull’accuratezza”, aveva d’altronde annunciato lo scorso 9 ottobre Daniel Hagari, portavoce delle Idf. Conseguenze le cui proporzioni non sembrano quindi casuali: “L’ammontare dei morti tollerati come danni collaterali nel corso di una operazione che prenda di mira un leader militare è passato dalle decine alle centinaia, anche quando si tratta di colpire un singolo membro di Hamas”, ha spiegato ancora la fonte che ha attribuito questi sviluppi a una serie di ragioni. La prima risiede nell’espansione dei bombardamenti su quelli che sono conosciuti come “matarot otzem“, in inglese “power target“, ossia infrastrutture, residenze private, grandi palazzine che non hanno una precisa funzione militare e che, secondo fonti dell’intelligence coinvolte in operazioni passate, vengono bombardate con l’obiettivo di “danneggiare, produrre un livello di shock che spinga la popolazione civile a mettere pressione su Hamas“.

Una declinazione della “dottrina Dahiye” (dal nome dell’agglomerato di municipalità del sud di Beirut, in Libano, roccaforte urbana di Hezbollah, ndr), in base alla quale la devastazione intenzionale di infrastrutture civili risponde all’imperativo strategico di produrre deterrenza e spingere i civili a incalzare i leader militari. Secondo cinque diverse fonti, le Idf avrebbero a disposizione dati accurati sulla gran parte degli obiettivi potenziali a Gaza, incluse abitazioni private, per cui sarebbero in grado di stabilire in anticipo il numero di persone che rimarranno uccise in un raid su un “power target“.

“Se dicessero al mondo intero che gli uffici di un leader del Jihad Islamico al decimo piano di un palazzo non sono un obiettivo militare importante, ma che la loro esistenza è ragione sufficiente per distruggere l’intero edificio, così da mettere pressione sulle organizzazioni terroristiche palestinesi, ciò sarebbe considerato terrorismo. Quindi, semplicemente non lo dicono”, ha aggiunto un’altra fonte dell’intelligence a proposito delle Idf.

La seconda ragione che ha portato a questi sviluppi ha a che fare con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale: si chiama HabsoraIl Vangelo – ed è un sistema, le cui prime fasi di sviluppo risalgono al 2019, in grado di generare obiettivi militari in modo automatico, attraverso l’elaborazione simultanea di migliaia di informazioni, e soprattutto a un ritmo mai visto nel corso delle precedenti campagne militari, tanto da spingere un funzionario dell’intelligence a parlare di uno strumento che genera una “fabbrica di omicidi di massa”.

Grazie a questo sistema di IA, l’Esercito israeliano bombarda edifici nei quali viene “generato” un obiettivo, anche se si tratta di membri di basso rango del movimento armato palestinese, uccidendo chiunque si trovi al loro interno. “Dal momento in cui questo sistema è stato attivato, siamo in grado di generare circa 100 obiettivi al giorno“, aveva spiegato lo scorso anno in una intervista ad Ynet il capo del personale delle Idf, Aviv Kochavi, “mentre prima del suo utilizzo potevamo arrivare a 50 obiettivi all’anno”.

Secondo i dati delle stesse Idf, nei primi 35 giorni di bombardamenti, Israele ha attaccato circa 15mila obiettivi a Gaza, un numero enorme rispetto alla guerra del 2021 (1.500 obiettivi in 11 giorni), del 2014 (5.000 in 51 giorni), del 2012 (1.500 in otto giorni), e del 2008 (3.400 in 22 giorni). Durante i primi cinque giorni di guerra, più di metà degli obiettivi bombardati – 1.300 su 2.600 – erano considerati “power target“. Se si considera che le autorità israeliane stimano in 30mila il numero di membri di Hamas a Gaza, questo numero è destinato a crescere in modo esponenziale.

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