La conquista manu militari di Cosa nostra da parte di Totò Riina è storicamente provata. Egli usò violenza da far rabbrividire, col solo fine di diventare il capo dei capi. In buona sostanza scatenò una mattanza facendo eliminare tutti coloro che si opponevano al suo strapotere. Ancora oggi qualcuno afferma che ci fu una guerra di mafia. Assolutamente no! Fu l’eliminazione fisica dei cosiddetti perdenti. Il paradigma preferito da Riina, che ebbe tra l’altro facile preda tra i suoi sodali, fu quello di mettere gli uni contro gli altri. Il Curtu di Corleone ordinava l’uccisione di mafiosi, eppoi attribuiva ad altri la responsabilità, facendo così scatenare diatribe violente tra le famiglie mafiose.
Il comportamento di Riina mi fu compiutamente chiarito da diversi pentiti, che misero in luce non solo l’indole violenta, ma anche la distorta personalità del Riina. Una sola parola lumeggiò e tratteggiò bene il mafioso Riina: è un “tragiriaturi” (parole di Buscetta e Mutolo) dissero. Terminologia che noi palermitani usiamo per definire una persona avvezza a mettere zizzania. Eppoi evidenzio, che nella stragrande maggioranza dei mafiosi palermitani serpeggiava un malumore verso Michele Greco: veniva accusato di aver consegnato su un piatto d’argento l’intera Cosa nostra a Riina, che per giunta non era nemmeno palermitano. Per far meglio comprendere il significato di “tragiriaturi”, cito una particolare “voce” che i corleonesi e, quindi Riina, fecero circolare a Palermo nei primi anni 80.
I commissari di Polizia, Ninni Cassarà e Beppe Montana, avrebbero – secondo la “voce” mafiosa -, dato disposizioni ai loro sottoposti, di non arrestare Pino Greco “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, ma di ucciderli. Era un’assoluta falsità. Una menzogna, che denigrava non solo l’onore e il prestigio di due integerrimi e fedeli uomini di Stato, ma anche verso noi stessi che facevamo parte della sezione Investigativa di Cassarà. Ed oggi, voglio raccontare un episodio in cui fui coinvolto direttamente.
Accadde che, all’inizio 1983, un amico d’infanzia, mi racconta che Michele Greco, che i vari spostamenti, era solito servirsi dell’agro di Ciaculli. Usava due autovetture (mi fornisce modello e colore), e percorreva le trazzere che, che da Villabate conducevano a Groceverde Giardina (Ciaculli). In una delle due auto, (secondo la fonte) spesso prendevano posto Scarpuzzedda e Mario Prestifilippo: una sorta di scorta. Ninni Cassarà informato di ciò, predispose un adeguato servizio d’osservazione. In sostanza, le due auto giunte alla fine della trazzera e aprendo il cancello, si immettevano nella proprietà dei Prestifilippo, posta di fronte. E da lì Michele Greco raggiungeva la sua sua abitazione, posta a un centinaio di metri dal cancello.
Ciaculli, all’epoca era considerato “territorio nemico” anche a causa delle vedette che controllavano la borgata, specie dopo il mancato attentato della mattina di Natale del 1982, nei confronti di Scarpuzzedda. E quindi era difficile operare senza essere notati. Tuttavia ci provammo. Per alcuni giorni monitorammo la zona e poiché non avevamo riscontrato elementi, che potessero suffragare la confidenza – anche se l’amico era di provata affidabilità – , in accordo con Cassarà cessammo il servizio.
Un giorno liberi da altri impegni investigativi, decidemmo di fare una puntatina a Ciaculli, sostando proprio accanto al cancello, che inibiva l’ingresso alla trazzera. Dopo una decina di minuti, scorgemmo le due auto segnalate, venire verso di noi. Noi ci eravamo preparati: avremmo dovuto sorprendere gli occupanti appena il cancello sarebbe stato aperto. E per inibire la loro via di fuga, avremmo dovuto mettere innanzi all’uscita, la nostra auto. Le due autovetture si fermano a pochi metri dal cancello, scende una persona robusta, sulla quarantina a noi sconosciuta, che tenendo delle chiavi in mano si dirige verso il lucchetto. Purtroppo, l’adrenalina era schizzata in alto, e il collega posto alla guida tolse involontariamente il piede dal pedale del freno e che a causa della pendenza, la nostra auto scivola quanto basata per essere notata dallo sconosciuto. Questi, vedendola, lanciò un urlo “a poliziaaaaaa…”, fuggendo verso gli altri.
Noi sbalzammo dall’auto e con armi in pugno eravamo pronti a far fuoco. Ci accorgemmo, visto i pochi metri che ci separavano, che c’erano 5 passeggeri. Io riconobbi Michele Greco, (lo conoscevo sin da ragazzo) e avemmo la sensazione che ci fossero pure Scarpuzzedda e Mario Prestifilippo. Le due auto indietreggiarono a forte velocità allontanandosi. Noi potevamo colpire gli occupanti, ancor prima di allontatanrsi. Ma, io non diedi l’ordine di sparare. Se l’avessimo fatto, avremmo certamente compiuto una carneficina.
Noi non potevamo sparare ed uccidere. Noi non eravamo killer, ma poliziotti consapevoli del nostro ruolo. Le auto si allontanarono e la cattura svanì. Noi tre ci guardammo e ci convincemmo che agimmo nel rispetto della legge. E dimostrammo che quella “voce” altro non era, che una zizzania di Riina.