L’inceneritore di Roma? È una “industria insalubre”. Lo dice il bando di gara.

Sabato alla manifestazione al Campidoglio per dire no all’inceneritore di Roma c’ero anche io. E ho incontrato Carla Canale, un’avvocata che mi ha aiutato a capire meglio la gara da ben 7,5 miliardi di euro del Comune.

Una lettura anche superficiale suggerisce che lo scopo di questo bando è tutelare le imprese che vinceranno la gara, non quello di fornire un servizio e affrontare il problema dei rifiuti o proteggere un bene prezioso come la salute di cittadini e cittadine.

Abbiamo già parlato degli impianti accessori, ovvero quello per la cattura dell’anidride carbonica (CO2) che in realtà avrà una capacità massima di sole 400 tonnellate in tutto un anno.

Per capire di quale tipo di presa in giro si tratta, si pensi che in un solo giorno di CO2 l’inceneritore ne produrrà circa 1600 tonnellate, cioè quattro volte tanto. L’impianto di teleriscaldamento tanto sbandierato avrà invece la “strabiliante” potenza di 1 MW, cioè quella sufficiente appena per qualche abitazione. Sulla serra che sarà piazzata sul tetto dell’inceneritore, preferisco tacere.

Veniamo però ai costi per i cittadini. Innanzitutto, un inceneritore/termovalorizzatore dura ben più di un matrimonio. La durata della concessione è stabilita, sulla base del piano economico-finanziario presentato dal Promotore, in 33 anni e 5 mesi, inclusa la progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori e la base di gara, come prezzo di conferimento per tonnellata, è pari a 185 euro. Tale importo verosimilmente varierà appena entrerà in vigore la tassa ETS sulla CO2 dal 2026, per non parlare delle successive ipotesi di modifiche contrattuali.

Lo schema di convenzione prevede la possibilità del concessionario di avere delle vie di fuga certamente non a vantaggio dei cittadini di Roma. Ad esempio, il mancato conferimento annuo, da parte dei soggetti che si prevedeva conferissero nell’ambito delle attività di programmazione settoriale, del quantitativo di rifiuti per il quale il termovalorizzatore/inceneritore ha mantenuto – per il relativo anno – la qualifica di impianto di chiusura del ciclo “minimo”, ovvero il conferimento annuo di tale quantitativo – ovvero di un quantitativo inferiore – non avente tuttavia un potere calorifico medio annuo coerente con la relativa assunzione indicata nel Piano Economico Finanziario.

Riassumiamo in parole semplici: se Roma riuscisse nei prossimi 30 anni a ridurre la quantità di rifiuti (come ci impone l’Unione europea), Roma dovrebbe in ogni caso portare quel quantitativo di rifiuti indicato nel bando al termocombustore. E lo stesso vale nel caso in cui, aumentando la differenziata, venisse a mancare la plastica, che è la frazione con maggiore potere calorifico. Il bando tutela chi gestisce l’impianto, in modo che abbia sempre abbastanza rifiuti e potere calorifico adeguato, non i cittadini di Roma che vorrebbero disfarsi dei rifiuti.

Roma avrà l’obbligo di consegnare all’impianto 600mila tonnellate l’anno di rifiuti da bruciare come plastica, gomme, scarti della frazione organica stabilizzata, combustibile derivato da rifiuti e quel generico codice 191212 che comprende anche l’immondizia in uscita dai tritovagliatori.

Gualtieri ha più volte garantito che il termovalorizzatore sarebbe entrato in funzione nel 2026. Tuttavia, lo stesso cronoprogramma presente negli atti di gara parla di quattro anni e quattro mesi. L’impianto quindi, anche se tutto andasse bene, dovrebbe entrare in funzione non prima di marzo 2028. È accettabile che un Sindaco eletto prenda degli impegni ai nome dei cittadini e cittadine che vanno ben oltre la fine del proprio mandato? E che tutto questo sia avvenuto senza un reale dibattito pubblico, contraddicendo tra l’altro quanto affermato in campagna elettorale?

Passiamo alla questione salute.

L’Oms ritiene che il pm2,5 (polveri sottili) sia tra gli inquinanti atmosferici più nocivi; ed è proprio quello prodotto dagli impianti di incenerimento. Quelli di nuova generazione, anche se presentano emissioni di inquinanti inferiori rispetto ai vecchi inceneritori (in termini di concentrazione/m3 di fumi), sono tuttavia di maggior taglia e ciò comporta un incremento della quantità assoluta di emissione di fumi e di inquinanti. L’impianto di Santa Palomba è dunque da considerarsi “pericoloso alla salute degli abitanti”, così come previsto dall’art. 216 del R.D. 1265/1934.

Gli “inceneritori” rientrano tra le “attività insalubri” di “prima classe” e come tali devono essere “isolati” nelle campagne e “tenuti lontano dalle abitazioni”, poiché – come recita la richiamata disposizione normativa – “producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti”. Tra i documenti di gara, chi costruirà l’inceneritore deve fornire obbligatoriamente una dichiarazione di “industria insalubre”.

Forse è bene chiarirlo alle persone che abitano a Pomezia, Ardea, Albano e Castelli e nel sud est di Roma, perché Gualtieri si è ben guardato dallo spiegargli che vicino casa loro sorgerà non un “gioiello tecnologico” ma una “industria insalubre”. Vogliamo ancora credere che questa operazione sia vantaggiosa per la Capitale e per le tasche dei romani?

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con l’avv. Carla Canale, consigliera del IX municipio di Roma della lista civica “Virginia Raggi”

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