La sintesi estrema è che l’Italia non ha imparato nulla dalla lezione della pandemia. Tanto che, se oggi arrivasse una nuova crisi economia simile a quella del 2020, oltre quattro milioni di lavoratori sarebbero sprovvisti di “paracadute” e ammortizzatori sociali. In pratica, lo Stato potrebbe al massimo intervenire di nuovo con strumenti emergenziali e studiati in fretta e furia, come è stato tre anni fa. Questo emerge da due studi firmati dai ricercatori Juliana Bernhofer, Massimo De Minicis e Oscar Molina, presentati oggi dall’Inapp, istituto pubblico di ricerca socio-economica, che ha approfondito i sistemi di protezione sociale negli stati europei.

Durante la fase più acuta del Covid, in Italia più di sei milioni di lavoratori hanno preso integrazioni salariali, e queste sono costate 18 miliardi di euro. A questi si sono aggiunti, come detto, quattro milioni di persone che hanno beneficiato di indennità assistenziali, costate al pubblico circa sei miliardi di euro. Quando poi è tornata la “normalità”, questi strumenti non sono diventati strutturali. In pratica, nonostante la riforma degli ammortizzatori sociali del governo Draghi – firmata nel 2021 dall’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando – avesse l’obiettivo di creare una protezione universale, questo non è accaduto, e i lavoratori sprovvisti di aiuti in caso di shock dell’economia sarebbero moltissimi.

“Questi lavoratori – ha dichiarato Sebastiano Fadda, docente e presidente Inapp – non possono essere dimenticati dal sistema e dal mercato del lavoro, proprio per questo occorre pensare a nuove misure di sostegno per tutte quelle figure che non godono di alcun paracadute sociale sia al termine di una esperienza lavorativa che durante la ricerca di occupazione”.

Ma chi sono, nello specifico, queste persone ancora senza salvagente? Sono i cosiddetti “non standard”, cioè persone che non hanno il classico posto da dipendente a tempo indeterminato, ma fanno parte di tutta la galassia di precarietà che popola il nostro mercato del lavoro. Per esempio, gli “autonomi individuali” i quali, non avendo un contratto subordinato, non possono essere coperti da cassa integrazione o sussidi in caso di blocco delle attività nel loro settore. Tra questi abbiamo i rider delle consegne a domicilio, perché quasi tutte le maggiori piattaforme non li assumono.

Ma abbiamo anche gli inoccupati in cerca di lavoro, cioè quelle persone che non hanno un occupazione e non hanno avuto un impiego solido negli anni precedenti. Oggi, infatti, gli strumenti funzionano come un’assicurazione: solo una certa quantità di contributi versati in precedenza dà diritto all’assegno di disoccupazione. Chi non ha mai lavorato o ha avuto una carriera molto debole e discontinua, ne è escluso. Il problema è che, in caso di crisi, le possibilità trovare un posto si riducono di molto, quindi servirebbero aiuti anche per loro.

“In Italia – dice l’Inapp – rimane ancora assente un regime di protezione dei lavoratori realmente universale, sempre troppo ancorato a consistenti schemi assicurativi categoriali e a uno schema di reddito minimo in via di profonda ridefinizione”. Il riferimento è alla riforma del Reddito di cittadinanza, fortemente ridimensionato sia in termini di numero di beneficiari, per l’inasprimento dei requisiti, sia in termini di durata. Quindi, se già con il vecchio Rdc il sistema era ancora carente, figuriamoci ora che si sta per abbattere questo pesante taglio.

Gli altri Paesi fanno diversamente. In Spagna esiste un “articolato sistema di sussidi contro la disoccupazione, assicurativi e assistenziali”., il quale “oltre a garantire un più alto livello di copertura, l’85% dei soggetti in una condizione di disoccupazione nel 2020, rappresenta anche un filtro per il lavoro non standard e la disoccupazione di lunga durata prima che si configuri come beneficiario degli schemi di reddito minimo”. Insomma, le misure contro la povertà sono solo un aiuto di ultima istanza; prima che si finisca nell’indigenza, il sistema prova a “salvarti” con altri strumenti. Anche in Francia esistono ammortizzatori sociali contributivi e sussidi assistenziali (questi ultimi nel 2020 hanno coinvolto più di 2020 lavoratori poveri).

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