In primo grado furono condannati solo cinque dei trenta imputati. Ora in Corte d’Appello all’Aquila è iniziato il secondo grado del processo per la strage dell’hotel Rigopiano di Farindola (Pescara), il resort alle pendici del Gran Sasso che il 18 gennaio 2017 fu distrutto da una valanga. Sotto le macerie morirono 29 persone fra ospiti e dipendenti, 11 furono i superstiti. Lo scorso 23 febbraio, a oltre sei anni dal disastro, il Tribunale di Pescara aveva inflitto due anni e otto mesi all’ex sindaco del borgo, Ilario Lacchetta (la Procura chiedeva oltre 11 anni), tre anni e quattro mesi ai dirigenti provinciali Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, sei mesi ciascunto al gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso. Assolti invece gli altri 25 rinviati a giudizio, tra cui l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, e l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco.
All’udienza, iniziata alle 9, erano presenti i parenti delle vittime, che indossavano – come già nel processo di primo grado – le magliette con i volti e i nomi dei loro cari. Dopo la relazione del presidente del collegio Aldo Manfredi, la parola è subito passata per le conclusioni ai due sostituti procuratori di Pescara Annamaria Benigni e Andrea Papalia, che hanno ottenuto di essere applicati anche al processo d’Appello. In circa due ore, i pm ribadito l’impianto accusatorio dettagliato nelle oltre trecento pagine del ricorso, insistendo sul nesso di causalità tra il terremoto e la valanga, sulla prevedibilità dell’evento, sulla mancata realizzazione della Carta di valutazione pericolo valanghe e sulla mancata convocazione della Commissione valanghe da parte della Regione Abruzzo. La Prefettura di Pescara, invece, è accusata di non aver eseguito i propri compiti di Protezione civile ignorando la telefonata d’allarme del cameriere Gabriele D’Angelo, una delle vittime, che poi fu oggetto di un tentativo di depistaggio delle indagini.
Responsabilità e omissioni gravi che secono l’accusa hanno trasformato il resort in una trappola, causando una tragedia evitabile. Pertanto i pm confermano in toto le richieste di condanna avanzate a novembre dello scorso anno: 12 anni per l’allora prefetto Francesco Provolo, 11 anni e quattro mesi per il sindaco Lacchetta, sei anni per l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, ai sette anni e otto mesi per l’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso. Oltre che dalla Procura, la sentenza di primo grado è stata impugnata anche dalle parti civili e da due degli imputati condannati. La prossima udienza è fissata al 13 dicembre, mentre da calendario la sentenza dovrebbe arrivare il 9 febbraio 2024.