È più vicino di quanto non lo sia mai stato (e di quanto si potesse pensare) il raggiungimento di cinque dei 25 tipping point climatici. Ossia quel livello oltre il quale un cambiamento, in questo caso dovuto al riscaldamento globale, diventa inarrestabile e incontrollabile. Letteralmente, un punto di non ritorno. E questi tipping point sono lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e nell’Antartico occidentale, del permafrost che copre intere aree del pianeta, la morte delle barriere coralline nelle acque calde e il collasso di una corrente oceanica nel Nord Atlantico. Ad affermarlo è il Global Tipping Points Report, studio curato dall’università di Exeter che ha coordinato 200 ricercatori affiliati a 90 enti di ricerca in 26 paesi. Secondo l’analisi, finanziata dal Bezos Earth Fund, altri tre tipping point potrebbero essere raggiunti nel prossimo decennio, se il pianeta superasse la soglia di 1,5° Celsius di riscaldamento globale. Mangrovie e praterie di alghe, infatti, si prevede moriranno in alcune regioni se le temperature aumenteranno tra 1,5°C e 2°C, ma sarà la fine anche per le foreste boreali, che potrebbero subire sconvolgimenti inarrestabili a 1,4°C di riscaldamento o addirittura a 5°C.
Quanto siamo vicini ai tipping point – E si tratta di una ipotesi non futuristica, se si pensa che, stando ai dati del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), dal 1 gennaio 2023 a fine novembre sono stati registrati 86 giorni in cui la soglia di 1,5 gradi è stata superata. Secondo il Copernicus climate change service, C3s, nello stesso periodo la temperatura media globale dell’aria superficiale è stata di 1,46 gradi superiore alla media preindustriale del 1850-1900. Ma non parliamo ancora di riscaldamento globale che, ad oggi, è di circa 1,2 gradi. D’altronde, in concomitanza con l’avvio della Cop 28, il Climate Action Tracker ha calcolato che, tenendo anche conto dei target al 2030 fissati finora dagli Stati (sempre che vengano rispettati) il pianeta è destinato a raggiungere entro fine secolo circa 2,5°C.
Il rischio e l’effetto a cascata – “I punti di punta nel sistema terrestre rappresentano minacce di una grandezza mai affrontata dall’umanità” ha spiegato Tim Lenton, del Global Systems Institute dell’Università di Exeter. “Possono innescare effetti domino devastanti – ha aggiunto – tra cui la perdita di interi ecosistemi e la capacità di coltivare colture di base, con impatti sociali tra cui spostamenti di massa, instabilità politica e collasso finanziario”. I ricercatori spiegano, infatti, che alcuni sistemi sono così strettamente collegati che non si può escludere l’effetto a cascata: se la calotta glaciale della Groenlandia si disintegra, ad esempio, potrebbe provocare un drastico spostamento della circolazione della corrente oceanica dell’Atlantico meridionale, che fornisce la maggior parte del calore alla corrente del golfo. Questo, a sua volta, può intensificare l’oscillazione meridionale di El Niño, uno dei modelli meteorologici più potenti del pianeta. L’attuale riscaldamento rappresenta un grave pericolo per le barriere coralline d’acqua calda e, scrivono gli analisti, non è detto che questo non porti anche per gli altri sistemi sistemi ad un punto di non ritorno. Superando gli 1,5 gradi, invece, la mortalità diffusa delle barriere coralline d’acqua calda diventerebbe molto più probabile, causando effetti anche in altri sistemi. Superare i due gradi, invece, porterebbe a una rottura di ecosistemi come quello della foresta pluviale amazzonica e dei bacini subglaciali dell’Antartide orientale. E non si tratta di fenomeni che, come le ondate di calore o le precipitazioni più intense, avvengono lentamente e in linea con le emissioni di gas serra, ma possono passare da uno stato a un altro in modo molto più brusco, alterando in modo permanente il modo in cui funziona il pianeta. Le temperature andranno fuori controllo? Secondo gli scienziati non sarà questo il rischio maggiore, ma i danni e le devastazioni che sconvolgeranno la vita delle persone.