Disuniti alla meta. È così che i rappresentanti dei paesi dell’area euro si avvicinano alla cena di domani sera a Bruxelles, in cui verrà affrontato il delicato dossier della riforma del Patto di stabilità. Probabile che si arrivi al digestivo senza nessun accordo ma non sono da escludere sorprese. Da mesi è in corso il mercanteggiamento tra cancellerie e nelle ultime settimane gli equilibri sono tornati a pendere a favore dei più forti, ovvero la Germania e i suoi soci di “frugalità” che spingono per regole che rimettano al primo posto il risanamento dei conti pubblici. Operazione che a Berlino non costerebbe nulla visto che è uno dei pochi paesi ad aver mantenuto il debito non lontano da quel 60% del Pil considerato, a torto o a ragione e nessuno bene lo sa, ottimale. All’altro capo della fune che si sta tirando c’è l’Italia, che chiede regole meno penalizzanti sugli investimenti e percorsi di riduzione del debito più graduali. In mezzo sta la Francia che ha un debito alto ma non altissimo e un peso contrattuale non troppo diverso da quello tedesco. Alla Spagna, presidente di turno, la complicatissima opera di mediazione.
Le ultime dichiarazioni confermano l’eterogeneità delle posizioni, seppur molte dichiarazioni sembrano fatte anche per tastare il terreno. Il ministero delle Finanze tedesco ha fatto sapere oggi di non vede nessuna “contraddizione” tra una politica finanziaria europea “orientata alla stabilità” e il “disorientamento” creato dalla crisi di bilancio che viene affrontata in questi giorni a Berlino. Traduzione, anche se ora abbiamo qualche problema a casa, noi non molliamo. Martedì il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha ribadito la necessità di conciliare il risanamento dei conti pubblici dei singoli Stati con i necessari investimenti, piuttosto che concentrarsi esclusivamente sull'”austerità”. “Credo ovviamente a delle regole, alla necessità di risanare i nostri conti pubblici, mi sono impegnato per questo e rispetteremo” gli impegni assunti con Bruxelles, ha sottolineato Le Maire avvertendo tuttavia che “queste regole non devono impedire gli indispensabili investimenti”, in particolare, in materia climatica e di difesa. Una posizione non troppo dissimile da quella italiana. Oggi la presidentessa del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che “Non si può dire sì a una riforma del Patto che poi non si può rispettare” spiegando che “sono ore serrate di questa trattativa, è un momento molto delicato”. Rilancia insomma quanto detto ieri dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: “No a regole impossibili”.
Gli ultimi rumors parlano di un calo delle cifre di assestamento di bilancio. Ma nella trattativa “è diventato tutto complicatissimo”, spiegano all’agenzia Ansa fonti a conoscenza del negoziato. Per il deficit oltre il 3% del Pil l’aggiustamento strutturale primario annuo si negozia tra lo 0,3 e lo 0,4% (era 0,5%), o dello 0,2-0,25% con l’estensione dei piani (prima non c’era un doppio valore). L’obiettivo rimane l’1,5%. Per il debito resta l’ipotesi di calo dello 0,5-1% annuo. Per la deviazione dei piani si ipotizza lo 0,2-0,5% in un anno e 0,5-0,75% cumulato. Limature che non risolvono il dilemma di fondo: più attenzione ai conti o al ruolo dello Stato come motore economico?
Il governo italiano si accomoderà al tavolo con un’altra carta da giocare (o con una palla al piede, a seconda dei punti di vista): la ratifica della riforma del Mes, il meccanismo europeo per la risoluzione delle crisi finanziari. L’Italia è l’unico paese a non aver ancora firmato, il che blocca tutto. “L’Italia sarà invitata a dare un aggiornamento sullo stato delle cose rispetto alla ratifica del trattato del Meccanismo europeo di stabilità. A luglio il parlamento nazionale ha deciso di sospendere questo processo per quattro mesi. Ora è scaduto, quindi sembra il momento opportuno per il ministro Giorgetti di chiarire come il governo vede la via da seguire e la tempistica per la ratifica del trattato”, riferisce una fonte europea.